Io sono qui, l’immigrazione minorile in un docufilm «Tante scene di morte, ora mostriamo integrazione»

«Siamo in overdose da immagini di morte, di barconi che arrivano dal mare. Dobbiamo far conoscere le storie di queste persone. Oltre alla denuncia dobbiamo cercare di proporre modelli per fare capire che in un momento di crisi bisogna trovare soluzioni e che alcune già ci sono». Così il regista Gabriele Gravagna parla del documentario di cinquanta minuti Io sono qui, realizzato a settembre e ottobre dell’anno scorso all’interno dei due centri di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati gestiti dall’associazione Asante Onlus. Il documentario verrà proiettato oggi alle 18 al Teatro Politeama di Palermo. 

Gravagna, videoreporter, collabora con la trasmissione Carta Bianca e anche con l’Unhcr e spesso si è occupato del tema dei migranti. Adesso però ha deciso di passare a un livello successivo della conoscenza del problema: «Sono originario di Palermo, ma vivo e lavoro a Roma. Sono venuto in contatto con l’associazione Asante Onlus e ho scoperto così che il maggiore centro di accoglienza per minori non accompagnati era nella mia città». 

L’idea del documentario, spiega, «è nata un po’ come la curiosità di portare le telecamere dentro il centro, vediamo troppo poco su come si vive là. Asante è una realtà serena. I tre giovani protagonisti del documentario sono adolescenti pieni di energia, che hanno voglia di vivere come i ragazzi europei, vanno a scuola e che vorrebbero rimanere in Italia». Gravagna lavora con un team di collaboratori affiatato On the Road Again pictures. «Dovevano essere due settimane intense di riprese con tre protagonisti, Dine, Magassouba e Omar. All’inizio non volevano assolutamente raccontarsi. Dal centro poi siamo passati a girare in esterna e siamo riusciti a farli aprire a Monte Pellegrino.  Cercavamo un posto dove potessero sentirsi a casa e lì siamo riusciti a realizzare interviste lunghissime. Avevano esigenza di farlo». Il posto, hanno poi detto i ragazzi, ricorda loro le foreste dei luoghi in cui erano abituati ad andare a divertirsi nel loro Paese di origine. 

Racconta poi della storia di Omar e della famiglia palermitana che lo ha accolto come fosse un altro membro del proprio nucleo familiare. Lo hanno accolto dal punto di vista emotivo. «I sette figli di questa famiglia palermitana giocano a calcio con Omar, che da qualche tempo è ospite in un altro centro: da lì è nato questo forte legame». Per il regista il problema sta nel fornire la corretta informazione sui temi dell’accoglienza e mostrare esempi virtuosi: «Se si riescono a veicolare le risorse in un certo modo, provando a inserire i migranti nel mondo del lavoro, è possibile l’integrazione. Provano un senso di gratitudine fortissimo nei confronti di chi gli dà questa possibilità»

«Questi tre ragazzi raccontano del loro viaggio e delle motivazioni per cui lasciano il loro Paese – spiega Silvia Calcavecchio, operatrice del centro Asante Onlus – nel documentario poi ci sono tante scene di vita reale girate nel centro che mostrano il loro percorso positivo di integrazione. Dine e Magassouba fanno parte di alcuni corsi per diventare pizzaioli, ad esempio». L’operatrice racconta la gioia di assistere a un percorso di crescita che parte dall’apprendimento della lingua e della cultura che ospita i migranti: «Vediamo il ragazzo arrivare il giorno dopo lo sbarco e successivamente, dopo qualche mese, ben integrato all’interno della città. Le attività che facciamo sono indirizzate a conoscere le loro competenze e capire se un ragazzo è portato a fare determinate attività. Questo poi si trasforma in un percorso di formazione all’interno e poi all’esterno del centro, sotto forma di tirocini». 

Dopo l’identificazione e l’assegnazione della stanza, racconta Calcavecchio, nel centro si svolge un incontro di gruppo con uno psicologo e un orientatore. «Viene dato loro uno schema in diverse lingue in cui vengono elencati quali sono i loro diritti e i loro doveri – spiega -. Poi c’è il colloquio individuale con una psicologa che tiene il ragazzo sotto osservazione se è particolarmente provato. Comunque dopo trenta giorni c’è un altro colloquio accessibile a tutti. Al momento il centro ospita circa 150 migranti. Credo che ci sia un forte bisogno di sensibilizzare le persone sul mondo dell’accoglienza e far conoscere questi ragazzi, che spesso vengono considerati soltanto dei numeri. Si sentono in Tv le notizie degli sbarchi, ne arrivano 600, 800. Attraverso questo documentario possiamo dare un volto, una voce e una storia a queste persone». 

Stefania Brusca

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