Ingroia si schiera in difesa del re delle scommesse «Bacchi come Berlusconi: vittime, non complici»

«Così come non c’erano elementi allora su Berlusconi, oggi non ci sono su Bacchi. Nessuno può essere condannato se non ci sono prove». Se fosse ancora in voga il gioco di chi l’ha detto?, sarebbe facile indicare un legale vicino al Cavaliere. Un Ghedini o un Taormina, ad esempio. E invece ad accomunare l’ex premier e il re delle scommesse online è Antonio Ingroia. Insomma: dal processo sulla trattativa Stato-mafia, in cui l’ex magistrato era il grande accusatore di Forza Italia e del suo fondatore, ne è passata di acqua sotto i ponti. 

Accusato di essere il vertice dell’organizzazione dedita alle infiltrazioni criminali nel mondo dei giochi e delle scommesse online, con l’aiuto di Cosa nostra, l’immagine di Ninì Bacchi non è uscita certo indenne dall’ultima operazione antimafia messa a segno dagli inquirenti e simbolicamente denominata Game over. Un imprenditore spregiudicato, che addirittura dettava le regole fra padrini e picciotti dei mandamenti cui si rivolgeva, da Brancaccio a Porta Nuova, da Resuttana a San Lorenzo. Un riciclatore che prestava il volto pulito a operazioni sporche di riciclaggio, alla luce delle carte dell’inchiesta, attraverso il giro delle sale gioco. 

«Un mondo, questo, che si presta molto a questo genere di crimini, perché circola molto denaro contante. Certo, questo non significa però che ogni imprenditore in questo settore sia un riciclatore». Ne è convinto l’avvocato Antonio Ingroia, che in passato si è occupato dei crimini legati a questo settore e che adesso ha deciso di scendere nuovamente in campo. Schierandosi, questa volta, dalla parte della presunta mente dell’enorme giro illecito appena fatto a pezzi: Bacchi.

Difenderà quello che, almeno mediaticamente parlando, sulla base di quanto emerso dalle cronache sembrerebbe essere stato già ampiamente bollato come criminale dall’opinione pubblica. L’avvocato, però, è di altro avviso e crede fermamente, alla luce proprio di quanto fatto emergere con la recente inchiesta, che l’imprenditore di Partinico sia innocente e che contro di lui sia stato messo in piedi un castello di accuse piuttosto fragile e circostanziale. Una scelta, quella del suo difensore, che ha già fatto discutere.

«In questo specifico caso non abbiamo prova di ingresso di denaro di provenienza dalla mafia che sia stato da lui ripulito e reinvestito – puntualizza Ingroia a MeridioNews -. Anzi, c’è una prova contraria, quella di esborsi da parte sua, di una percentuale data alla mafia». Per il legale, quando è l’imprenditore che paga e, quindi, che non prende, siamo inevitabilmente posti di fronte a una zona grigia, a un interrogativo obbligatorio: ci troviamo, cioè, in presenza di un complice di Cosa nostra o in presenza di chi ha subìto delle pressioni o che è stato addirittura vittima di estorsioni e minacce? «Non ci sono prove concrete, tangibili che Bacchi sia stato un terminale illecito, un canale per e con la criminalità», ribadisce perentorio.

Le famose carte messe insieme durante le indagini, intanto, riportano numerosi stralci di conversazioni registrate che, se per i magistrati della procura di Palermo avrebbero sancito il ruolo e le responsabilità di Bacchi nel sistema da lui messo in piedi, per l’avvocato Ingroia invece contribuirebbero solo a dimostrare l’incertezza di quanto oggi gli si addita. «La procura fonda le sue accuse su intercettazioni telefoniche e ambientali di dubbia interpretazione – precisa ancora -. Per non parlare, poi, dei pentiti che lo accusano (i principali sono Vito Galatolo, uomo d’onore della famiglia mafiosa dell’Acquasanta, e Mario Gennaro, membro di spicco della cosca De Stefano-Tegano di Reggio Calabria), le cui dichiarazioni da sole non possono reggere».

L’avvocato, poi, tira nuovamente in ballo l’ex premier Silvio Berlusconi, e lo fa accostando parte della sua vicenda giudiziaria a quella dell’imprenditore partinicese che ha deciso di difendere. «Il processo per riciclaggio contro Berlusconi l’ho istruito io, ero pm all’epoca. E all’inizio avevo determinate convinzioni: lui dava soldi alla mafia, ma non si era chiarito se così facendo stesse di fatto sottostando a un’imposizione di pizzo o se li dava perché fossero poi reinvestiti. Motivo per cui ho chiesto io stesso l’archiviazione» spiega.  L’avvocato, insomma, fra le due vicende vede non poche vicinanze e punti di contatto, che lo portano a scegliere il medesimo atteggiamento, quello della buona fede: «Frutto di pressioni e intimidazioni – sottolinea ancora -. Questo vale per Berlusconi, che era vittima più che complice. E vale ora per Bacchi. Secondo me bisogna comportarsi adesso nello stesso modo. Ci sono delle forti similitudini tra la vicenda del primo e quella odierna del secondo».

Silvia Buffa

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