Individuato l’enzima responsabile del carcinoma ovarico La scoperta del ricercatore palermitano Fabrizio Miranda

Il giovane ricercatore palermitano Fabrizio Miranda ha scoperto, insieme a un valido team, la presenza di un enzima (SIK2) che consente la sopravvivenza delle cellule cancerose del carcinoma ovarico. Una scoperta fondamentale che rende il SIK2 un bersaglio importante per sconfiggere il cancro mediante l’uso di inibitori che sono attualmente in fase di sperimentazione. «Abbiamo scoperto che il carcinoma ovarico può proliferare solo in presenza di un enzima, chiamato SIK2 – ha spiegato Miranda – che ha il ruolo di ‘bruciare’ il grasso per produrre l’energia necessaria alle cellule cancerose per sopravvivere. Una serie di esperimenti ha confermato che SIK2 non solo ha un ruolo nello sviluppo del tumore primario ma, soprattutto, nello sviluppo di metastasi all’omento dove questo carcinoma diventa molto più letale».

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Cancer Cell, è il frutto della ricerca condotta dal team del professore Ahmed Ashour Ahmed alla Oxford University, e descrive un nuovo meccanismo metastatico del carcinoma ovarico. Del team ha fatto parte anche Miranda durante 5 anni di studi svolto nella prestigiosa università inglese. Dopo aver frequentato ed essersi laureato all’Università degli studi di Palermo, il giovane ricercatore palermitano ha conseguito il suo dottorato di ricerca in seguito a un biennio svolto a Philadelphia negli Stati Uniti e svariati anni di lavoro ed esperienza sul campo medico, biologico e chimico in Inghilterra. «Non c’è una ragione particolare che mi ha spinto a intraprendere questo tipo di formazione ma, credo, che il merito vada ai miei insegnanti del liceo – ha raccontato -. Nonostante gli studi classici, sono riusciti a trasmettermi una passione per la matematica, la fisica e la biologia. La decisione di iscrivermi poi in Scienze Biologiche è stata del tutto istintiva. Mi piaceva tutto e avrei studiato indistintamente Biologia marina, Biologia animale o Biochimica, ma alla fine mi sono specializzato in Biologia molecolare».

Durante il lungo periodo di studio, di specializzazione e ricerca Fabrizio, per approfondire e accrescere il suo bagaglio di conoscenze, cambia più volte città, ormai dedito alla scienza e concentrato su progetti e programmi futuri, trovando talvolta ostacoli. «Ho svolto due periodi di ricerca a Londra: subito dopo la laurea triennale (tre mesi) e durante la tesi di laurea specialistica (un anno) – ha proseguito -. Queste due esperienze mi hanno insegnato cosa fosse realmente la ricerca pertanto, durante il dottorato svolto all’Università di Palermo, decisi di trascorrere quasi due anni a Philadelphia negli USA, un posto incredibile dove la parola ‘impossibile’ non esiste».

Una volta concluso il dottorato, proprio l’esperienza negli USA ha aperto a Fabrizio le porte della prestigiosa Università di Oxford dove ha lavorato come ricercatore. «Al di la della spinosa questione dei finanziamenti alla ricerca, direi che le maggiori differenze che ho notato sono le collaborazioni: i ricercatori in Inghilterra sono motivati e supportati nello sviluppo di collaborazioni inter e soprattutto intra ateneo. In Sicilia non c’è collaborazione o comunicazione e ognuno pensa a se stesso». E poi la mobilità: «La maggior parte dei ricercatori con cui ho collaborato o lavorato in UK non erano inglesi, ma provenienti dal resto d’Europa, Cina, India e USA. In UK si investe molto sull’attrazione di talenti stranieri, su borse di studio con prospettive di rientro in patria. In Sicilia, invece, noto che molti ragazzi tendono a considerare un’esperienza all’estero di qualche mese o al massimo un anno sufficiente, ma non lo è. Questi ragazzi non maturano una forma mentis internazionale che sarebbe necessaria per un ricambio generazionale e di mentalità. Al contrario chi rimane all’estero per più tempo tende a non rientrare. Questo è un enorme spreco di talento e risorse».

Tornando alla ricerca svolta in Inghilterra, Fabrizio ha sottolineato l’importanza dei risultati raggiunti dal team nella cura del carcinoma ovarico: «Le cellule cancerose si diffondono di solito nell’omento, uno strato di tessuto adiposo della cavità addominale. La causa maggiore di decessi per carcinoma ovarico è dovuta a malnutrizione in seguito all’ostruzione dell’intestino da parte delle metastasi tumorali. L’omento è ricco di adipociti (cellule grasse) e gli acidi grassi prodotti da queste cellule promuovono la crescita del tumore. Questo – ha concluso – rende SIK2 un bersaglio importante per futuri trattamenti mediante l’uso di inibitori che sono attualmente in fase di sperimentazione».

Turi Messineo

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