Proseguono le indagini della procura di Catania per accertare le responsabilità che hanno portato all’affondamento di un barcone lo scorso 9 settembre tra le coste di Creta e Malta. La barca «è stata volontariamente affondata da altra imbarcazione più grande, che lha speronata. Tale condotta fu determinata dal rifiuto del comandante della nave su cui si trovavano i migranti di farli trasbordare su di un natante che non appariva idoneo a garantirne la sicurezza», spiega in un comunicato il procuratore Giovanni Salvi.
Un numero di morti imprecisato, uomini e donne provenienti soprattutto dalla Palestina. E centinaia di famiglie disperate, ignare delle sorti dei propri cari come denunciava la Rete antirazzista catanese. Il lavoro degli inquirenti mira a individuare il punto preciso della tragedia, oltre ai nomi dei responsabili, così da permettere l’eventuale recupero del relitto. «Le dichiarazioni dei superstiti, sentiti dalle autorità greche, maltesi e italiane, sono tra loro convergenti pur essendo state raccolte separatamente e senza che vi fossero contatti tra gli stessi». Sono undici i racconti presi in esame.
Subito dopo le prime notizie del naufragio, da Gaza è stata stilata una lista di quelle che potrebbero essere le potenziali vittime. Adesso la procura etnea mette a disposizione dei familiari anche un indirizzo mail (naufragio.wreck.procura.catania@giustizia.it) attraverso il quale poter inviare nomi ed elementi utili alle identificazione dei passeggeri del natante affondato. Ma risposte, ancora, non è possibile averne. «Si prega di non utilizzare questo indirizzo per chiedere informazioni, cui non sarà comunque data risposta, o per ragioni diverse dalla sola comunicazione di informazioni relative alla identificazione delle vittime», precisano da piazza Verga. Che ribadiscono come la fase investigativa non sia ancora conclusa e sia essenziale la riservatezza.
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