«È una Sicilia delle lobby. C’è quella dell’acqua, della Sanità e dei rifiuti. E in questi anni non è stato fatto nulla per smontare questi sistemi». Non si ferma neanche domenica, Cateno De Luca, candidato alla presidenza della Regione. Tre tappe, nel catanese, per incontrare sostenitori e simpatizzanti e rendere chiare alcune metodologie della sua azione politica che, dopo avere applicato nella città dello Stretto, punta a rendere operativa per l’amministrazione dell’intero territorio regionale. Ancora una volta si presenta come «il nuovo garantito» e ripercorre quanto messo in atto nelle sue esperienze da primo cittadino. Un modello di cambiamento. Ma per raggiungere l’obiettivo chiede ai siciliani di candidarsi con lui.
«Abbiamo lanciato – dichiara – la sfida al sistema e aperto l’arruolamento per le nostre liste. La strategia è quella delle elezioni comunali di Messina che ci hanno consentito di vincere al primo turno. Abbiamo l’idea di arrivare a nove liste e quindi chiediamo di scendere in campo e candidarsi con noi per amore di questa terra». E guardandosi intorno, il primo sguardo lo getta su Catania con i cumuli di rifiuti e la vita politica sospesa. «La seconda città della Sicilia – dice – non merita di essere utilizzata come pisciatoio. Perché deve stare senza un sindaco?».
Interrogativo che suona come un avviso di sfratto per Salvo Pogliese. «Pogliese – sottolinea – doveva già dimettersi. Dobbiamo essere coerenti con l’impegno che assumiamo con le nostre comunità. Tenere sotto scacco Catania per 18 mesi, in un momento così delicato, dove le scommesse del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono fondamentali da vincere e irripetibili, credo che debba portare chi ama realmente la propria gente a farsi da parte. Al di là della condivisione o meno delle norme, che sono quelle. Anche io ho subito i miei processi. Anche io mi sono dimesso, quando ho ritenuto che era il caso di dimettermi. Comprendo umanamente la sua situazione ma non la giustifico politicamente. La cosa che mi preoccupa è il silenzio trasversale che, da parte delle forze politiche, c’è su questa vicenda».
Nell’occasione dell’incontro catanese, non sono mancati gli atti di accusa per le inefficienze dell’operato di Nello Musumeci. «Continuo a sperare – precisa – che venga ricandidato. Sono anni che lo inseguo per un confronto. Non ha avuto l’umiltà di dire che ha fallito». E insieme a lui anche l’assessore Ruggero Razza «che ha più volte detto – sottolinea – di volermi querelare ma questa querela non è mai arrivata. Piuttosto aspetto di capire cosa intendevano dire, così come è emerso nella vicenda giudiziaria che vede coinvolto Razza, quando dicevano che dovevano mettermi il bavaglio». E giù la descrizione di una gestione della cosa pubblica come «bancomat».
Insieme a Cateno De Luca anche Dino Giarrusso e Ismaele La Vardera. I due, smessi i panni da inviati de Le Iene e indossati quelli da politici, stimolano la discussione sulle storture della politica siciliana che fino ad oggi ha stabilito il destino della Regione. «È facile stare dietro Facebook – bacchetta La Vardera – e dire che si vuole fare la rivoluzione. Bisogna fare le battaglie. A Palermo il neo sindaco Roberto Lagalla sta litigando con i partiti. È trascorso un mese, i problemi come quello del cimitero crescono, e ancora non si vede la giunta. Lagalla è schiavo dei partiti». Ma tra i partiti apre qualche spiraglio Giarrusso che precisa: «Qualche onesto c’è. Non è una gara contro i mostri ma contro chi ha violentato la Sicilia. La Regione, in questi anni, non è riuscita a fare neanche un progetto valido. Mentre tutti adesso stanno presentando forze politiche con la parola Italia, la parola Sud non c’è». Quasi fosse il nuovo Raffaele Lombardo, a rivendicare l’autonomia con o senza colombina. «Cuffaro – tuona Giarrusso – è stato condannato e in un Paese normale non solo non dovrebbe più fare politica in prima persona ma non dovrebbe essere neanche l’animatore politico di un partito per una questione etica. Lombardo, invece, è stato assolto».
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