In centinaia per i funerali del marò Cannizzo Gli amici: «Sua battaglia deve continuare»

«Voglio andare con papà, lasciatemi andare». Urla e piange di fronte alla bara del padre, appena uscita dalla chiesa di San Leone, nell’omonimo quartiere popolare di Catania. Sono le lacrime di una delle tre figlie del sergente Salvo Cannizzo, ex marò morto lunedì a 36 anni per un tumore al cervello. Ecco il momento straziante di una cerimonia partecipatissima, con centinaia di persone. La causa di servizio di Salvo – che si è battuto fino all’ultimo per far riconoscere che la sua malattia era stata causata dall’uranio impoverito con cui era venuto a contatto quando era in servizio in Kosovo – non è ancora stata riconosciuta. Davanti all’ingresso due sue amiche, Angela Rendo e Paola Lo Re, tengono un cartello, c’è scritto «Lo Stato ha fatto un’altra vittima». «Quel che ha detto Salvo in questi mesi, che lo Stato lo ha abbandonato, deve essere detto a tutti. La sua battaglia deve continuare» dice Angela in lacrime.

Dentro la chiesa padre Alfio Spampinato, cappellano della caserma Sommaruga di Catania, ricorda l’ex marò. Prima a Librino, quando era parroco e Salvo poco più che un bambino. E poi da giovane uomo quando, a 19 anni, ebbe la sua benedizione per la scelta di diventare un militare. «Era altruista. Lo è stato da militare e lo è stato fino alla fine: l’ultimo pensiero è stato per i suoi commilitoni, ammalati come lui». Osservano e pregano in silenzio, parenti amici e tanti semplici conoscenti, circondati dalle telecamere dei tg locali, che si insinuano tra i banchi e tra i cappelli bianchi dei militari della marina militare. Assenti le istituzioni, rappresentate solo da quei consiglieri della nona municipalità di cui Cannizzo è stato collega per poco più di un anno. «Siamo qui per ricordare un amico, perché al di là del suo impegno come consigliere del partito democratico Salvo ha reso un servizio al suo quartiere con la grande forza di cui era dotato, con l’energia che metteva in ogni battaglia» ricorda la presidentessa Loredana Gioia, accompagnata da tutti i dieci consiglieri del quartiere popolare.

«Salvo la forza l’ha persa all’improvviso, 15 giorni fa l’ho incontrato, mi aveva confidato che non c’erano più terapie valide per la sua situazione. Da lì la situazione è precipitata» confida Roman Clarke, impegnato con l’associazione Terreforti nel portare il teatro nella realtà periferica in cui Salvo è nato. Fuori, tra le urla della figlia, le lacrime cominciano a rigare gli occhi dei presenti, un momento di commozione rotto da un applauso finale, mentre la folla si allontana. «Dove sono i politici? Dov’è Enzo Bianco? Dov’è Rosario Crocetta? L’hanno lasciato tutti da solo» dice una donna, che assiste alle interviste dei tg locali. L’unico rappresentante istituzionale a rilasciare dichiarazioni è Daniele Frigoliufficiale della Marina che, sulle rivendicazioni di Cannizzo, è più che prudente. «Ci sono dei protocolli per accertare la consequenzialità della malattia con lo stato di servizio e sono stati seguiti. Qui, tra chi è intervenuto al funerale, sembra che l’opinione diffusa sia diversa però» dichiara Frigoli alla stampa. Ma i rischi in cui è incorso Salvo nella sua vita militare e le conseguenze sulla salute, tutti i presenti, dagli amici di Salvo fino ai membri del circolo Pd Librino e del Comitato Librino Attivo, sono convinti derivino dall’uranio impoverito e non da altri fattori. «Il pericolo della morte per i militari fa parte del mestiere, è raro che un professionista come l’avvocato Serafino Famà venga ucciso per fare il suo mestiere. Se Salvo è stato abbandonato, il suo diritto e quello dei suoi familiari verrà riconosciuto» conclude padre Spampinato. Poco dopo, lungo la strada disseminata di fiori, Salvo va via per il suo ultimo viaggio. Sullo sfondo ci sono i palazzi di Librino.

Leandro Perrotta

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