Non c’è dubbio che la parola impresentabili sia dotata di una particolare forza di gravità. Per tutta la campagna elettorale regionale ha dominato la scena, abbassando il rating della competizione, visto che scarsissima è stata l’attenzione, anche dei media, ai contenuti, ai programmi. Tuttavia tornare alle origini di quella che è stata solo una questione mediatica, senza risvolti concreti, può far riflettere sulla trasparenza degli impresentabili, sul fatto cioè, che abbiano comunque attirato valanghe di voti e sul perché, dunque, nella realtà essi non esistano. La presidente della commissione nazionale antimafia Rosy Bindi compilava una sorta di black list nel 2015 in occasione di una tornata elettorale di Regionali e Amministrative, per indicare coloro che non possono candidarsi alle elezioni. C’era stata una grande attesa, la lista era venuta fuori, ma poi alcuni di loro furono votati con grande seguito, come il governatore campano De Luca.
La presidente Bindi aveva anche chiesto «rispetto» da parte di chi aveva detto che i nomi di chi non poteva presentarsi dovevano essere forniti almeno trenta giorni prima del costituirsi di quelle liste. I quotidiani e i siti avevano fatto a gara per conoscere chi fossero i primi esclusi. Per le regionali in Sicilia l’Antimafia nazionale ha fatto invece un passo indietro, non appena percepito che lo strumento contro la malapolitica da lei creato, in mano a partiti e media, stava diventando un mostro.
Questo avviene in un Paese che ha dimenticato l’etica e la politica e a essere impresentabile sotto il profilo istituzionale ha fatto l’abitudine: assumendo funzioni simili a quelle dei giudici del Grande fratello, l’Antimafia redige queste liste di proscrizione e dà vita a un’operazione che sa tanto di propaganda e che fin da subito è inefficace. La commissione non ha i poteri infatti per vietare a eventuali impresentabili di candidarsi, si presta però a questo gioco mediatico perché mancano nel nostro ordinamento leggi precise che indichino, con la generalità e l’astrattezza del diritto, quali siano i requisiti per cui non ci si possa presentare alle elezioni. Avrebbe avuto tutto il tempo, invece, a 55 anni dal suo insediamento, di proporre o dare indicazioni per una legislazione più completa e puntuale in materia di incandidabilità, ma non lo ha fatto. E lo stesso il parlamento che nel 2012 ha partorito la Severino, però come misura di prevenzione alla corruzione, o un codice etico nel 2016 uscito dalla giunta per il regolamento senza alcuna sanzione per i deputati se non quella della pubblicazione sul sito della Camera dell’avvenuta violazione.
Redige allora liste o minaccia scomuniche che non hanno alcuna funzione di garanzia nella costituzione dei futuri consigli comunali, regionali o altro, anche perché tra le mansioni dell’organo parlamentare non risulta quella di compilare inventari o album di cui l’Antimafia va orgogliosa, ma che verosimilmente non hanno senso perché scritti in assenza di norme certe e sulla base di questo o quel codice fatto in casa dai partiti. Un parlamento presentabile dovrebbe occuparsi di farle queste leggi, non di propagandare liste o nomi che inaugurano anche una prassi iniqua, mettere un marchio o una sorta di damnatio su persone che, in presenza di regole certe, sarebbero serenamente rimaste escluse dai giochi elettorali e in un dignitoso anonimato.
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