Immigrazione, lo strano valzer dei soccorsi: cui prodest?

La nuova Primavera Araba, o le conseguenze del fallimento della precedente, stanno facendo collassare il sistema di accoglienza in Italia e in particolare in Sicilia. Sbarchi a Porto Empedocle, a Siracusa, a Catania, ad Agrigento, ovunque. Uno stato di emergenza che la Giunta regionale siciliana invoca e che proprio questa mattina tenterà di ottenere. Lo stato d’emergenza. Nuovi aiuti dall’Europa. Il supporto economico per fronteggiare i continui arrivi sulle nostre coste. Eppure i numeri non sono ancora quelli per cui l’Europa dovrebbe sentirsi in dovere di intervenire più dell’ordinario.

Per quanto allarmanti mille migranti sbarcati in un solo giorno, da inizio anno ne abbiamo accolti circa ventimila. Quindi, se i centri di accoglienza esplodono non è certo per la straordinaria ondata di migranti. Saltando il 2011, che poi riprenderemo, nel 2008 in Italia sono arrivati 35 mila migranti africani. Nessun collasso strutturale è stato registrato in quell’anno. La sostanziale differenza pare risiedere nel fatto che i migranti che oggi arrivano in Italia non hanno la minima intenzione di fermarsi nel nostro Paese.

Un dettaglio non irrilevante che si sta manifestando sempre più forte nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) sparsi su tutto il territorio nazionale. A Crotone, la struttura più grande d’Europa, un immigrato è morto il 9 agosto per cause non ancora chiare e la conseguente immediata protesta degli altri immigrati è stata durissima. Serie difficoltà per le forze dell’ordine dovute al numero di immigrati. Basti pensare che il solo Centro per Richiedenti Asilo (Cara) di Crotone può ospitare 1.450 persone ed era sovraffollato. Ci vorrebbe un intero reggimento dell’esercito per sedare una simile rivolta. Della struttura di Capo Rizzuto, Crotone, il 13 agosto è stata disposta la chiusura.

A Gorizia, nel Cie di Gradisca d’Isonzo, un altra protesta ha visto fughe e fratture. Un immigrato è caduto da un tetto su cui protestava e si è procurato parecchie fratture mentre sei compagni di sventura fuggivano dalla struttura. Di fuga si può parlare anche per Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, dove circa 200 immigrati hanno lasciato la tensostruttura di accoglienza dandosi alla macchia. Erano stati soccorsi poche ore prima a dodici miglia dal porto su una carretta del mare con il motore in avaria e 336 migranti decisamente provati a bordo. Anche in questo caso l’intenzione di chi sta tentando la fuga è di continuare il viaggio verso l’Europa.

Ne verrebbe che la vera emergenza sta nella convenzione di Dublino e non nello stato d’emergenza economica. Nessuno trascorrerebbe 18 mesi di reclusione in Italia prima di poter raggiungere i parenti in altri Paesi europei. E nessuno, o quasi, dei richiedenti asilo è interessato alla protezione del nostro paese. A chiedere di rivedere la Bossi-Fini rivisitata da Maroni con il prolungamento a 18 mesi di detenzione massima nei Cie ci si mette anche il Siulp, il sindacato di polizia. Secondo loro i Cie sono pericolosi. Carceri camuffati da centri di accoglienza con un livello di sicurezza inadeguato, anche per i militari che vi operano dentro.

In questo complesso parapiglia giuridico e logistico la Sicilia si accorge che c’è una emergenza. Cosi, d’un tratto, ci si rende conto che la Libia è terra di nessuno in cui si continua a sparare, che l’Egitto è in piena rivolta in conseguenza a un colpo di stato, che la Siria è in allarme umanitario già da parecchio tempo e che in Tunisia si continua a uccidere i leader dell’opposizione. Probabilmente tutti numeri utili per gridare allo stato d’emergenza. Preannunciato e motivato ma comunque stato d’emergenza. La strana modalità di gestione dei soccorsi a cui si assiste nelle ultime due settimane non fa altro che aumentare l’effetto scenico.

Di fatto, molti dei migranti soccorsi sulle carrette del mare a oltre cento miglia sud di Lampedusa, vengono portati a Pozzallo o a Siracusa o anche a Porto Empedocle. A volte anche dirottando gratuitamente navi mercantili a cui vengono affidati i migranti. Il che non è esattamente in linea con logiche quali la “legge del mare”. Che il più vicino interviene è fuor di dubbio ma, che una nave della Marina Militare dopo aver soccorso e preso a bordo dei migranti poi li affida a una nave civile “dirottandola”, sembra un altro paio di maniche. In più, il gioco economicamente conveniente rischia di stressare eccessivamente la marineria mercantile. Come se una cabina di regia avesse deciso di delocalizzare il disagio di Lampedusa. Di estenderlo all’intera regione. Cui prodest?

Mauro Seminara

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