«Chisti addiventaru i patruna du munnu, furono a me furtuna. Ma poi, minchia ma chisto si vire che comanda! Chisto è un curnuto, parola d’onore…Qua arrivano barconi proprio…Tu pensi che riforniscono solo a lui?». C’è ammirazione nelle parole di Giulio Di Maio per il tunisino Fadhel Moncer, conosciuto anche semplicemente come Giovanni, che per finanzieri e magistrati di Palermo sarebbe stato al vertice di un’organizzazione criminale transnazionale, operante tra la Tunisia e l’Italia, composta da cittadini stranieri ma anche da italiani, in attività almeno dal settembre 2016 con affari a cavallo tra la Tunisia e Palermo, ma anche Pantelleria, Mazara del Vallo e Marsala. Il business principale ruotava attorno al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma non solo. La rete di affari avrebbe riguardato anche il contrabbando di sigarette africane invendibili in Europa, se non illegalmente appunto. E una delle piazze palermitane di riferimento era quella di Ballarò. Un’organizzazione solida e ben collaudata, e che a Palermo poteva contare su quattro uomini coinvolti nell’operazione messa a segno questa mattina, un filone di indagine che si aggiunge ad altri precedenti.
Oltre a Di Maio, ad esempio, ci sarebbero anche Vincenzo Corda e Pietro Ilardi: secondo quanto emerso, tutti e tre avrebbero agito come corrieri, occupandosi di prelevare il carico di sigarette dai depositi dell’organizzazione e di trasportarlo sulle piazze di rivendita. Il quarto, invece, sarebbe stato Antonio Lo Nardo, che doveva occuparsi del reclutamento di soggetti disposti a curare la commercializzazione del carico sigarette sulle piazze di rivendita di Palermo, intervenendo anche direttamente nel trasporto di sigarette di contrabbando e mettendo a disposizione la propria vettura. «Devo ringraziare pure a Dio… che questo… mi sta aiutando pure tantissimo, eh… anche se è un arabo, però mi sta aiutando tantissimo – dice intercettato Lo Nardo, parlando anche lui di Fadhel Moncer -. Nel senso, mi sta dando fiducia». Espressa dal vertice tunisino nei suoi confronti, ad esempio, anche nel fatto di avergli procurato con una spesa minima il mezzo da usare per il contrabbando delle sigarette. «Sai quanto l’ho pagato il passaggio di questa macchina? Una minchiata, seicentotrenta euro – dice al suo interlocutore -, non solo mi ha dato la macchina, io poi metto i soldi del passaggio… l’assicurazione l’ha lasciata…questi guadagnano troppi soldi».
Solo per un’unica tratta, ad esempio, Fadhel e l’intera organizzazione erano in grado di ricavare anche fino a 50mila euro a viaggio. Ma c’erano anche casi in cui il prezzo di quel viaggio, più che soldi, erano proprio sigarette, quelle che poi sarebbero finite nella rete di affari che l’organizzazione gestiva fra Palermo, il Trapanese e l’Agrigentino. Un giro di soldi enorme, insomma, che necessitava anche di essere reinserito in un ulteriore circuito di facciata apparentemente lecito per non essere rintracciato. E a mostrare il volto pulito erano club, ristoranti, aziende agricole. Un giro d’affari, però, che aveva i suoi interlocutori ben precisi in Lo Nardo, Di Maio, Corda e Ilardi e che a Palermo doveva guardarsi bene dal non sconfinare con altri mercati. «Li ho visti fare benzina qua – dice intercettato a marzo scorso, riferendosi ad alcuni criminali concorrenti -. Erano in macchina ed erano carichi…ma a me comunque non me ne frega un cazzo perché… Perché non sono buoni, perché…potevo legare du picciotto e…lo fermavo. Però se loro di Palermo vengono qua a creare problemi non è giusto. Anche l’amico nostro, se avesse una ‘ntecchia di cervello». Fadhel Moncer, quindi ha a Palermo la sua porzione precisa di mercato, concentrata principalmente a Ballarò ma che lambisce anche Brancaccio, preferisce quindi andarci cauto. Evitando, ad esempio, di destare su di sé l’attenzione delle forze dell’ordine con un intervento forte per ridimensionare l’invadenza dei palermitani, preferendo continuare a svolgere indisturbato la propria attività.
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