Il testimone di giustizia Cutrò lascia l’Italia «Vendo tutto e vado in un Paese più civile»

«Mai un passo indietro». L’ha sempre promesso Ignazio Cutrò, testimone di giustizia di Bivona, nell’Agrigentino, che adesso ha deciso di farne uno in avanti decisamente lungo. Talmente lungo da arrivare fuori dall’Italia, insieme alla sua famiglia: la moglie e i due figli, Giuseppe e Veronica. «Ho deciso, è tutto pronto per vendere quello che resta della mia azienda (edile, ndr) e andare all’estero. In uno Stato più civile», dice sicuro. La voce ancora piena di rabbia per gli anni trascorsi a lottare. Contro la mafia prima – la stessa che dal 1999 lo ha ricoperto di intimidazioni, personali e alla sua azienda – e contro il silenzio delle istituzioni dopo. Tra cartelle esattoriali salatissime, digiuni di protesta, problemi con la scorta e la mancanza di qualunque aiuto economico «non previsto per i testimoni che decidono di rimanere nel proprio luogo di residenza», spiega.

«Io aspetto ancora aiuto da parte del ministero da marzo 2011, quando una perizia ha assicurato che la mia situazione finanziaria è più che precaria a causa degli attentati – racconta Cutrò – Ho avuto perdite di circa 60mila euro l’anno. E’ vergognoso dirlo, ma il mio reddito è quello dei poveri. E lo Stato, anziché premiare chi vuole restare nel suo paese e andare avanti con le proprie aziende, ci lascia soli». In assenza di risposte oppure «aggirate dalla commissione centrale di sicurezza». E quando le risposte arrivano, sono sempre negative. Come la richiesta ala Regione Sicilia di un prestito da 20mila euro, per ottenere i documenti necessari a rimettere in moto l’azienda che aveva appena ricevuto la proposta di un appalto. Richiesta negata.

Ma non sono state queste porte in faccia a far decidere a Cutrò di andare via. «Quando ho capito di non poter più assicurare un futuro ai miei figli mi sono sentito un perdente», racconta il testimone. Veronica e Giuseppe studiavano Giurisprudenza, almeno fino a una settimana fa. «Giuseppe aveva provato ad andare a Palermo, ma era pieno di compaesani, tutti conoscevano la nostra storia. In un anno non è riuscito a dare nemmeno una materia, sebbene sia uscito dal liceo con il massimo dei voti». Per questo la decisione di mandare i ragazzi a studiare a Milano. «Avevo chiesto che almeno a loro fosse riconosciuto un vitalizio, seppur minimo, considerato che erano fuori sede – continua Cutrò – Ma mi è stato risposto di no».

Fino allo scorse ottobre l’imprenditore di Bivona riesce a farcela da solo. «Ho fatto tutto il possibile per tenere in vita l’azienda e la mia dignità con i pochi soldi che mi erano arrivati come risarcimento per i danni personali che ho ricevuto. Non li ho conservati per il futuro ma ho pagato le tasse e ho mantenuto i miei figli agli studi». Spese che adesso sono diventate insostenibili. I ragazzi sono rientrati da Milano sabato scorso e i pochi mezzi che restano in azienda sono pronti per essere venduti. «Ho già smontato e ricaricato le batterie, è tutto pronto», assicura. Ma la sua partenza potrebbe avere non poche ripercussioni.

«Nonostante sulla carta il programma di protezione testimoni italiano sia il migliore al mondo, copiato anche all’estero, in 29 anni ho ricevuto solo chiacchiere dalla politica. Anche gli altri testimoni non ne possono più. In questi anni io li ho frenati e li ho spinti al dialogo con le istituzioni ma adesso che me ne andrò da parte loro ci saranno proteste davanti al Viminale», anticipa. Nessuna volontà di mandare un messaggio sbagliato, conclude Cutrò, «ma è giusto che il mio Stato, quello fatto dai cittadini, sappia».

[Foto di Lefotodimarina]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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