Il Teatro Massimo ridotto ai cotillion

La vicenda del Teatro Massimo e della omonima Fondazione che lo governa offre continuamente spunti di grande interesse non solo per i melomani, ma anche per cittadini attenti alle questioni che, in generale, caratterizzano l’andamento complessivo della città. L’attuale conflitto tra i vertici del Teatro e gli artisti, che non nasce all’ultimo momento, dimostra che anche in quest’ambito la gestione allegra del pubblico denaro è una costante, con buona pace della predicazione quotidiana che da ogni pulpito viene fatta nel segno dell’efficienza, della produttività e della competitività del sistema Italia e bla bla bla.
La ‘produttività’ del Teatro Massimo (sotto nella foto tratta da ‘Rosalio’) è uno dei motivi più forti dello scontro sindacale in atto. I lavoratori sostengono che la selezione qualitativa del personale e la sua stabilità sono i presupposti della qualità e del numero delle produzioni artistiche del teatro. La piena utilizzazione di questa fondamentale risorsa consente ricavi finanziari consistenti, che vanno a sommarsi al contributo pubblico, pur necessario.
La governance del teatro ha, invece, operato l’interruzione degli investimenti nei settori trainanti e, con la perdita di 150 unità di lavoro, ha smesso di puntare alla crescita economico-finanziaria della Fondazione. A questo proposito è bene ricordare che, oggi, le entrate finanziarie dal botteghino coprono appena il 2 per cento dell’intero budget del Teatro Massimo di Palermo. Il resto, il 98 per cento, è assicurato dal contributo pubblico.
Ormai da troppi anni la precarietà nella gestione di questa grande istituzione culturale si caratterizza per produzioni scadenti; cosa, questa, che ha determinato la perdita di circa mille abbonati, facendo segnare una riduzione secca degli incassi pari a circa 250 mila euro. Precarietà anche negli ingaggi degli artisti che, cambiati in corso d’opera e “senza i necessari accorgimenti”, hanno indotto gli abbonati delusi e infastiditi a ricorrere, tramite l’Adiconsum, al giudizio. Risultato: una ‘scure’ che è stata “talmente eloquente da fare giurisprudenza in tutta Italia”.
Nonostante la condanna, la Fondazione persevera nello stesso esercizio per cui l’abbonato “acquista un prodotto e ne riceve un altro”. Un delirio. Precarietà nella gestione dell’orchestra con vuoti di programmazione, laddove il “ruolo del direttore artistico non si ferma alla compilazione del cartellone…”. Leggendo quello che hanno scritto in queste settimane gli artisti in vari documenti vengono i brividi. Per esempio: “Nei momenti più importanti e nelle emergenze viene a mancare una guida forte e sicura”, perché il maestro Lorenzo Mariani (contestatissimo direttore artistico del Teatro ndr) è piuttosto ‘distratto’ dalla sua attività privata che lo stesso esercita nonostante dall’1 gennaio di quest’anno, per effetto della legge Biondi (l’ex ministro dei Beni e delle Attività culturali), “è fatto divieto assoluto di offrire prestazioni esterne anche per beneficienza agli artisti dipendenti dalle fondazioni”.
Per queste ragioni i professori d’orchestra, a conclusione di un’assemblea convocata lo scorso 4 febbraio, hanno espresso un atto di sfiducia nei suoi confronti e ne hanno chiesto le dimissioni. E pensare che il maestro Mariani, all’atto del suo insediamento, aveva rilasciato una pubblica dichiarazione molto confortante: “Punterò innanzi tutto alla formazione, anche culturale, dell’orchestra, perché le compagini musicali sono il cuore pulsante del teatro”. Quando si dice che tra il dire e il fare…
Altro punto controverso in tema di produttività è quello delle giornate lavorative non lavorate. Che significa? Tranquilli, non è un gioco di parole. La formula riflette, invece, l’ “incapacità organizzativa” e la “superficialità” nell’amministrare, male, un grande patrimonio artistico lasciandolo a casa gli artisti per circa 30-35 giorni in media all’anno. Uno spreco bell’e buono. E una perdita di produttività.
Infine, le esternalizzazioni ‘intellitenti’: la biglietteria e l’allestimento della festa di fine anno 2009. La biglietteria è stata affidata in appalto alla Best Union spa. Una società bolognese specializzata nell’organizazione di grandi eventi e di servizi vari nelle strutture teatrali e dello spettacolo in genere.
Appena acquisito il servizio di biglietteria, quale unica partecipante alla gara d’appalto, la Best union ha attivato un proprio ufficio a Palermo, in via Valderice. L’appalto consiste nella gestione del servizio di biglietteria del Teatro Massimo di Palermo a fronte della corresponsione di un canone complessivo di 185 mila euro in tre anni. Già le entrate con i biglietti, come già accennato, grazie alla gestione scadente dello stesso Teatro lirico, coprono a malapena il 2 per cento dei costi. Pagando 60 mila euro all’anno a questa società le già scarne entrate riducono ulteriormente. Un ‘affare’, insomma. Che bisogno c’era, di grazia, di ‘esternalizzare’ tale servizio?
Regaliamo ai nostri lettori qualche altra ‘perla’, solo per dare un’idea della perdita dei ricavi da incassi al botteghino: nell’esercizio 2005 le entrate di botteghino hanno fatto registrare la rispettabile cifra di 2,4 milioni di euro, che hanno rappresentato poco più del 5 per cento sull’ammontare complessivo del bilancio di 42 milioni di euro (fino ad allora qualche rappresentazione si salvava). Questo dato, ancorché riferito a puro titolo orientativo, dà la misura di un’altra perdita secca delle entrate finanziarie dell’ente, a vantaggio dei privati.
Il cenone, con annessi ‘schiticchio’ & festa da ballo di fine anno 2009, rappresentano il ‘meglio’ dello spessore ‘culturale’ e ‘manageriale’ del consiglio di amministrazione della Fondazione Teatro Massimo. Piuttosto che offrire agli ospiti invitati una rassegna di arie celebri ricavabili dal ricco repertorio operistico e sinfonico internazionale e, magari, un altrettanto ricco brindisi augurale per il nuovo anno, facendo partecipe il personale amministrativo e artistico del teatro, la dirigenza del Massimo ha organizzato una festa da ballo con cena e ‘ricchi premi e cotillon’. Con gli ospiti – che non è difficile individuare nei maggiorenti del centrodestra palermitano – nei palchi e in sala (ricavata nella platea, liberata dalle poltrone). Il menù è stato preparato dallo chef palermitano Natale Giunta, più che raffinato; le danze allietate dalle note della band di Andrej Harmilin. Il tutto coordinato dalla conduttrice Rossella Brescia, una stellina della scuderia Mediaset. E ti pareva… L’evento ha pure avuto una coda polemica con i dirigenti del Teatro del Maggio musicale fiorentino che volentieri evitiamo di evocarne i contenuti (nella foto, sotto, tratta da Teatrogrande, un’immagine del ‘Rigoletto’, ovvero di qualcosa che al Teatro Massimo di Palermo non c’è più: la grande lirica).
Abbiamo fatto riferimento allo ‘spessore’ culturale dei dirigenti della Fondazione Teatro Massimo solo per segnalare in quale considerazione costoro tengono una monumentale struttura della cultura musicale della città. Non c’erano altri posti dove organizzare la festa di fine anno? No, hanno voluto, con arroganza, usare il tempio della musica per i loro sollazzi mondani. Un altro delirio.
Di fronte a questo divario di vedute sul ruolo e sulla funzione da assegnare all’ente lirico palermitano tra gli esiti gestionali della Fondazione e del Teatro e le aspettative di chi in quel teatro lavora ed esprime il proprio talento artistico, ci schieriamo senza alcuna esitazione con questi ultimi. Ed invitiamo i candidati alla carica di sindaco di Palermo ad esprimersi nel merito e a dire la propria sulle prospettive culturali della città.

 

Riccardo Gueci

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