Un provvedimento illegittimo. Così il tribunale amministrativo siciliano ha dichiarato l’atto con cui il Comune etneo ha fatto chiudere il noto B&B Bellini di via Auteri, a Catania. Una battaglia che va avanti da anni, con 32 controlli dal 2003 – anno di apertura dell’attività – a oggi. E che ha coinvolto decine di cittadini, amici e colleghi della proprietaria, Lorenza Mirone, conosciuta in città e sul web per la sua professionalità. «Non so ancora se su questa storia è scritta la parola fine, ma per me al momento la questione è risolta. Sto lavorando, e questa è la cosa più importante».
Tutto nasce da un contenzioso con il Comune per due stanze. Non registrate come bed and breakfast, secondo l’amministrazione etnea. Perché a uso privato, ha sempre risposto Mirone. Che ha anche vinto una causa penale sulla stessa vicenda. Ma, negli anni, i controlli non si sono mai arrestati. A tutte le ore, anche di notte. Senza risultati. Una persecuzione, secondo la proprietaria e chi la conosce bene, che nascerebbe dalle segnalazioni dei vicini di casa. Una coppia di anziani, poco tollerante nei confronti dei presunti rumori provenienti dal B&B. «Non ho mai capito perché – racconta Mirone – Gli ospiti sono per lo più stranieri e quindi con abitudini ben più educate delle nostre. E poi stanno tutto il giorno fuori». «Lo stesso vale per me e per i miei figli – continua la proprietaria – Sono figlia di un generale dei Carabinieri, ho sempre vissuto in caserma, figuriamoci se mi sognerei mai di mettere la musica a tutto volume o cose simili».
Eppure, alla causa penale e ai controlli, è seguito il provvedimento comunale di chiusura definitiva immediata, arrivato a settembre dello scorso anno. Un atto fuori legge, secondo la sentenza del Tar. «Perché, prima di disporre la chiusura, il Comune può al massimo sospendere un’attività per tre mesi. Il tempo di mettersi eventualmente in regola». Solo dopo può decidere di porre fine alla licenza. E invece il B&B Bellini è rimasto chiuso fino alla fine di novembre, quando il tribunale ha disposto una sospensione del provvedimento, in attesa della sentenza, arriva a marzo. E seguita dalle motivazioni a inizio giugno. «Ho dovuto chiudere per due mesi e mezzo, senza sapere quando poter riaprire. Ho perso le prenotazioni già effettuate per quel periodo e anche quelle di Natale e Pasqua», spiega ancora amareggiata Mirone. Eppure il tribunale, che le ha dato ragione, ha deciso di non riconoscerle un risarcimento danni.
In questi mesi, erano stati una ventina tra amici e colleghi a sostenere Lorenza Mirone nella battaglia per riprendersi la sua attività. Anche chiedendo in massa di essere ricevuti dal sindaco Enzo Bianco o dall’assessore alle Attività produttive Angela Mazzola. Incontri mai avvenuti. «A ricevermi è stato invece il segretario del sindaco, che mi ha chiesto informazioni sulla vertenza e di fargli sapere come potevano essermi utili». Ma Mirone ha deciso di proseguire sulla sua strada, attendendo la risposta della legge. «Se qualcuno avesse pensato di trovare una donna che non sapeva difendersi, ha fatto male i suoi conti», conclude.
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