Cronaca

Il portiere di calcio a 5 prestanome della ‘ndrangheta a Roma. La storia del bar Tintoretto, tra cambiali e contanti di provenienza sospetta

«Piccolo, ma ha tutto. Dalla colazione allo spuntino, dal lotto al superenalotto, dalle sigarette al gratta e vinci, dal latte alle bibite». A godere della recensione pubblicata qualche tempo fa su Internet è un bar-tabacchi dell’Eur, zona sud di Roma. Nel suo slancio di generosità, il cliente sembrerebbe avere fatto centro: all’interno dell’esercizio di viale Tintoretto, a poca distanza dal parco Tre Fontane, ci sarebbe stato davvero di tutto, compresa la ‘ndrangheta. Di questo, perlomeno, è convinta la procura di Roma che ieri ha inferto un nuovo colpo alla cosca Alvaro-Palamara-Carzo, sette mesi dopo il blitz che ha portato in carcere i vertici della locale – così si chiamano i centri di coordinamento delle ‘ndrine – attiva nella Capitale.

A finire ancora una volta all’attenzione dei magistrati della Dda sono stati gli affari economici del gruppo che avrebbe in Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro il capo e la mente commerciale di un’associazione criminale che gode di autonomia, pur mantenendo intatti i fili che la legano alle terra d’origine. Le due famiglie provengono dal territorio compreso tra Sinopoli e Cosoleto, piccoli centri ai piedi dell’Aspromonte che non sommano tremila abitanti. A Roma, invece, con il benestare del Crimine, la struttura centrale della ‘ndrangheta, avrebbero iniziato a ramificare il proprio potere assumendo per interposta persona il controllo di un ampio ventaglio di attività commerciali. Tra cui, appunto, i bar.

Al centro dell’ordinanza firmata dal gip Gaspare Sturzo ce ne sono tanti, ma quello di viale Tintoretto si distingue per essere l’unico nella cui acquisizione viene coinvolto un siciliano. Si tratta di Giuseppe Orlando, classe 2000, finito in carcere con l’accusa di essere uno dei prestanome di Domenico Carzo, figlio del capo della locale romana, ed Eugenio Mengarelli Denaro, 41enne incensurato ma ritenuto a disposizione della cosca.

Orlando vive a Canicattì (Agrigento) ed è appassionato di calcio. Tifa Milan e ha esperienze da portiere nella squadra di calcio a 5 del paese. Tuttavia, nonostante la giovane età e l’assenza di redditi, tra la primavera 2019 e la tarda estate dell’anno scorso avrebbe avuto una vivacissima parentesi imprenditoriale. A dirlo sono i documenti camerali della Gm srls, start up che Orlando costituisce il 17 aprile di tre anni fa, con appena cento euro di capitale sociale. Il giovane all’epoca ha 19 anni ma dimostra subito fiuto per gli affari, riuscendo a chiudere, dopo appena venti giorni e per la cifra di 30mila euro, l’acquisto del bar Tintoretto dalla società Gimy.

Ma da dove arrivano i soldi usati da Orlando? Questa è una delle tante domande a cui gli inquirenti rispondono richiamando quello che è stato definito il sistema Alvaro. Ossia le intricate operazioni finanziarie messe in atto dalla cosca per far calare una coltre di nebbia sugli affari nella Capitale. L’esigenza di sparire dai radar per Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro si sarebbe resa evidente a partire dalla fine del 2017, quando una serie di fughe di notizie avevano consentito loro di sapere che la Direzione investigativa antimafia li stava seguendo, con intercettazioni e accertamenti bancari. Roma, d’altro canto, sarebbe stata sfruttata dalla cosca anche per investire gli ingenti quantitativi di contanti provenienti da attività criminali. Usura, estorsioni, droga, i cui proventi è sempre necessario ripulire. E per quanto nel caso del bar Tintoretto agli indagati non viene contestato il reato di riciclaggio, i sospetti dietro le operazioni finanziarie non sono pochi: gli investigatori, infatti, hanno appurato che, a dispetto dei due assegni emessi dalla Gm, l’acquisizione dell’attività è stata pagata tramite bonifici. «La Dia accertava come sul conto della Gm, nei giorni successivi alla consegna dei due assegni, erano stati effettuati dei versamenti di denaro contante immediatamente utilizzato per emettere tre bonifici in favore della Gimy».

Poche settimane dopo, a entrare in scena è anche Raimondo Orlando, il padre del giovane arrestato. A maggio 2019 acquisisce il 10 per cento della Gimy, mentre il restante 90 passa a una donna di nazionalità romena. Nei confronti dell’uomo, che l’anno scorso tentò l’avventura politica candidandosi alle Comunali a Canicattì, ma riuscendo a dare un modesto contributo alla vittoria dell’attuale sindaco Vincenzo Corbo, i magistrati non hanno chiesto misura cautelare né risulta indagato. Diversa, invece, la valutazione fatta per quanto riguarda il figlio.

Giuseppe Orlando compare in momenti diversi dell’operazione riguardante il bar Tintoretto. A settembre 2019, quattro mesi dopo l’acquisizione dell’attività, il giovane passa la mano a Eugenio Mengarelli Denaro. Anche nel caso del 41enne, l’avvio dell’esperienza imprenditoriale ha suscitato più di una perplessità negli inquirenti. L’uomo, che l’anno dopo avrebbe attribuito formalmente al padre il ramo tabaccheria, tra il 2018 e il 2019 ha infatti dichiarato redditi per meno di settecento euro. La staffetta tra Orlando e Mengarelli Denaro si ripropone nell’estate 2020, quando il giovane di Canicattì ritorna proprietario e amministratore della Gm. Il gip l’ha bollata come «l’ennesima simulazione contrattuale». Una tesi che sarebbe confermata anche da quanto accade a settembre 2021, quando Orlando cede definitivamente il bar a un’altra società: la Me.De. In cambio, la parte acquirente presenta decine di cambiali. Gli investigatori impiegano poco per scoprire che dietro la Me.De, da poco costituita, c’è sempre Mengarelli.

È questo l’ultimo capitolo della storia che lega il Tintoretto alla locale di ‘ndrangheta. Il bar, a maggio di quest’anno, è stato sottoposto a sequestro. L’ultimo atto del giovane Orlando risale invece al dicembre scorso, quando deposita al Comune di Roma la dichiarazione di cessione dell’attività di ristorazione. In realtà ci sarebbe dovuta essere ancora un’occasione in cui il giovane avrebbe dovuto essere presente, ovvero nel momento in cui l’amministratore giudiziario nominato dal tribunale è entrato in possesso del capitale della Gm. Quel giorno, però, sottolinea il gip, «non si presentava Giuseppe Orlando, ma Raimondo Orlando, che dichiarava di esserne il padre e il delegato a presenziare».

Foto: Krists Luhaers

Simone Olivelli

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