«Il pm non può che ammettere il proprio sconcerto» Prosegue la requisitoria contro il sistema Saguto

Cifre in eccesso, somme gonfiate per attività di pochi giorni, fatture identiche per uno stesso incarico, uno solo, pagamenti duplicati «per errore» a detta di chi li ha ricevuti e che oggi, nelle parole della pm Claudia Pasciuti, suonano come spiegazioni «un pochettino originali». Continua la requisitoria dell’accusa contro il cosiddetto sistema Saguto, che vede alla sbarra l’ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto, imputata insieme a parenti, colleghi e altri funzionari tutti accusati, a vario titolo, di aver tratto benefici personali dal presunto cerchio magico messo in piedi dall’ex magistrata. Oggi, davanti ai giudici di Caltanissetta, va in scena la quinta giornata di requisitoria, un riepilogo fiume da parte dei pubblici ministeri, che da oltre una settimana stanno raccontando tutti i passaggi fondamentali dello scandalo della mala gestio dei beni confiscati.

L’udienza di questa mattina è dedicata a misure e procedure che hanno visto protagonisti l’ingegnere Lorenzo Caramma, marito di Silvana Saguto, e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, all’epoca tra gli amministratori giudiziari più di successo, entrambi imputati a processo. «Il pm ammette il proprio sconcerto», dice a un certo punto la dottoressa Pasciuti, interrompendo il crudo elenco di nomi, dettagli e numeri, lasciandosi sfuggire un commento rispetto all’ennesimo dato emerso che nessuno avrebbe mai autorizzato. «Attività mai documentate o, quando lo sono, viene calcolato un onorario di oltre 52mila euro per appena due settimane di lavoro in due anni, 14 giorni complessivi di attività. Mi sembra non ci sia nessun altro commento da fare», continua la pm Pasciuti. Passando da una procedura all’altra, mentre sfoglia le pagine su cui ha appuntato in maniera certosina il discorso da tenere.

«Somme eccessive rispetto a quanto ritenuto congruo dal tribunale», secondo la pm, e che sarebbero state misteriosamente liquidate al marito dell’ex giudice Saguto. Anche quando si trattava di interventi, da parte di Caramma, esigui e limitati a «stringate relazioni di due pagine». Anomalie nelle fatturazioni, cifre che non tornano, dati che non coincidono, insomma. Mentre le aziende amministrate dai presunti attori del cerchio magico colavano a picco. «Se fossi in mala fede, direi che alcuni professionisti riescono a nascondere le condizioni fallimentari di una società fallita con la stessa facilità con cui fanno emergere sperequazioni inesistenti per confiscare. Ma siamo in buona fede e non lo possiamo dire», ha osservato pochi giorni fa l’imprenditore Pietro Cavallotti, parte civile nel processo in corso a Caltanissetta, che ha affidato ai social una lunga riflessione, articolata a mo’ di  lettera indirizzata proprio alla pm Pasciuti, in questi giorni impegnata nella requisitoria.

«A lei, dottoressa Pasciuti, chiedo solo di valutare la rilevanza di fatti obiettivi e di circostanze specifiche perché una giustizia fatta a metà non è giustizia. A chi sa come sono andate realmente le cose chiedo di farsi avanti perché c’è bisogno di verità, mentre a quelle poche mele marce che hanno gettato fango addosso alla magistratura rovinando la vita della mia famiglia dico di pentirsi e di confessare. La giustizia non può essere solo una bella speranza. È un obbligo cui lo Stato deve adempiere nei confronti di chi, da innocente, ha sofferto pene atroci. Dopo vent’anni di calvario – conclude -, con la fiducia imperitura nella parte sana della magistratura e con la speranza di chi è assolutamente certo di essere nel giusto, chiediamo solo che ci venga restituito ciò che abbiamo creato con i sacrifici nel corso di una vita completamente dedita al lavoro».

«Questo è stato definito, con un’espressione secondo me molto infelice, il processo all’antimafia. Per fortuna non siamo ancora arrivati a simili livelli di follia – aveva detto il pm Maurizio Bonaccorso all’inizio della requisitoria -. Questo, nella sua complessità, è semplicemente un processo a carico di pubblici ufficiali che hanno piegato e tradito la loro funzione pubblica per il perseguimento di interessi privati. Mi riferisco a magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria, amministratori giudiziari e coadiutori giudiziari che hanno strumentalizzato il loro ruolo delicato e importante in una terra martoriata come la Sicilia, perché ruolo indispensabile per il contrasto alla criminalità organizzata, per conseguire le più varie utilità economicamente valutabili». Tra i nomi finiti nell’inchiesta, sullo sfondo di presunti scambi di favore, assunzioni ritenute dai magistrati poco meritocratiche e ingenti somme di denaro per prestazioni da dimostrare, ci sono quelli di Tommaso Virga, ex membro del Csm e Francesca Cannizzo, ex prefetta di Palermo. Ma anche quelli degli amministratori giudiziari Roberto Nicola Santangelo e Carmelo Provenzano, fino a un tenente colonnello della guardia di finanza in servizio alla Dia di Palermo come Rosolino Nasca.

«Risultanze investigative che poi si sono tradotte in risultanze dibattimentali, quindi prove, hanno permesso di mettere a fuoco un sistema perverso e paradossalmente tentacolare creato e gestito dalla dottoressa Saguto – ha proseguito ad apertura requisitoria il pm Bonaccorso -, che ha sfruttato e mortificato quello che era il suo ruolo di magistrato con un incarico semidiretto in un ufficio prestigioso come quello delle sezioni preventive di Palermo, che gestisce un patrimonio immenso. Pubblici ufficiali chiamati a rispondere di reati gravissimi, dall’associazione a delinquere, alla concussione, e ancora il peculato e l’abuso d’ufficio per citare i più gravi. Pubblici ufficiali che, oltre a ledere gli interessi giuridici, hanno recato un danno irreparabile e incalcolabile all’immagine dell’amministrazione della giustizia. Grazie a persone come quelle imputate qui, e non solo, la magistratura non ha più la credibilità che aveva 20 anni fa». Un danno enorme, causato proprio da quell’articolato sistema di scambi e favori ricostruito dall’accusa e raccontato in oltre due anni di processo e un numero enorme di udienze, testimoni sentiti, documenti e intercettazioni vagliate.

Figli, nipoti, amici intimi, ma anche persone meno vicine: ci sarebbe stato posto un po’ per tutti nel presunto cerchio magico dell’ex presidente delle Misure di prevenzione, portato avanti con l’aiuto di amministratori giudiziari, cancellieri ed ex ufficiali della Dia. «Gravi reati per i quali, lo anticipo, saranno chieste pene pesanti, sanzioni adeguate al concreto disvalore dei fatti contestati – per citare ancora il pm Bonaccorso -. Siamo alle battute finali di questo processo, ma non sarà la fine di questa vicenda giudiziaria perché ci sarà un altro processo. Perché al termine della requisitoria chiederemo anche la trasmissione degli atti per un numero considerevole di testimoni che sono venuti qua a dire il falso, ci sarà un processo che per dimensioni si potrà definire un maxi processo, mi riferisco a magistrati ancora in servizio, mi riferisco ad avvocati, mi riferisco ad ex prefetti, soggetti che hanno svolto le funzioni di amministratori e coadiutori giudiziari».

Silvia Buffa

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