Il neomelodico e la difesa del cognato dopo Realiti «Inesperto». E smentisce dedica al boss Assinnata

«Non ha niente a che fare con la mafia. È solo un ragazzo di 19 anni che fa di testa sua e che è rimasto senza padre da quando di anni ne aveva otto». Tony Trapani, neomelodico di professione, da qualche giorno prova a difendere il collega cantante Leonardo Zappalà. Ad unirli non c’è solo la musica e il fatto di essere entrambi originari di Paternò. I due, infatti, sono anche cognati. Zappalà nei giorni scorsi è finito al centro delle polemiche dopo le frasi pronunciate nel programma Realiti, su Rai2, ospite in studio del conduttore Enrico Lucci. La vicenda è finita in un fascicolo della procura di Catania, al momento aperto a carico di ignoti, ma anche sul tavolo della commissione di vigilanza di viale Mazzini.

In un video ammazzo un mio amico. Ma è solo finzione

Per difendere il cognato, il neomelodico Trapani ha anche condiviso su Facebook un lungo video in diretta. Quasi 50 minuti, conditi da qualche insulto alla categoria dei giornalisti, in cui sostiene che il taglio del servizio sia stato creato ad arte. «Gli dicevano di uscire soldi e pistole per fare le riprese», racconta a MeridioNews, assicurando di essere stato presente durante la permanenza della troupe televisiva a casa Zappalà. «Mio cognato era felice per questa occasione, perché pensava di essere ospite in una trasmissione dedicata alla musica». Durante la puntata, Zappalà non è stato però l’unico protagonista. A prendersi la scena con un servizio – ma senza essere presente in studio – l’altro neomelodico etneo Niko Pandetta. Nel video mandato in onda si ritornava, in particolare, sul suo legame con lo zio: il capomafia ergastolano Turi Cappello. 

«Ho anche un dubbio – continua Trapani – Perché in studio, durante il programma, non è stato chiamato Pandetta? A lui la Rai aveva fatto pure i biglietti. Perché poi si è deciso di ripiegare su mio cognato?». Il 19enne, dal canto suo, ha cercato di difendersi con un post su Facebook e qualche intervista. Tentativi di arginare le critiche che gli sono piombate addosso da tutte le parti. In una carriera da neomelodico ancora agli inizi, ma già costruita con chiari riferimenti al mondo del crimine e alla figura del mafioso italoamericano Al Capone. «Noi, come famiglia, riprendiamo mio cognato quando sbaglia – insiste Trapani – ma è un ragazzo».

Il neomelodico prova anche a chiarire il significato di una delle sue canzoni di maggiore successo: O pate e sta città. Molto simile a quella che Pandetta ha dedicato allo zio mafioso Cappello. Anche nel testo di Trapani si fa genericamente riferimento a uno zio Turi. Per molti, sopratutto a Paternò, la canzone sarebbe una sorta di inno al boss locale Salvatore Turi Assinnata. Finito in manette l’ultima volta a marzo 2013 e tre anni dopo coinvolto nel blitz The end. Accusato di associazione mafiosa per avere assunto il ruolo di guida dello stesso clan un tempo capeggiato dal padre Domenico, storico alleato della famiglia di Cosa nostra catanese dei Santapaola. «Ho solo inventato una storia ispirandomi al video di Pandetta», chiarisce il neomelodico. Siamo sicuri? «Certo. Io ho più di 70 canzoni in repertorio ma questa, è vero, ha dato una svolta alla mia carriera».

Il successo di O pate e sta città per il cantante sarebbe dovuto a quello che lui, a più riprese, chiama «il tema sociale». Cioè mafia e criminalità. «In un video io ammazzo un mio amico – racconta con un sorriso – ma si tratta solo di finzione. Quando si cantano temi sociali succede il panico. Il mondo gira al contrario ma purtroppo è solo cantando queste cose che ingrandiamo i nostri nomi. La gente vuole storie così». Per centrare meglio il discorso, Trapani prende a esempio una canzone a cui tiene particolarmente: Pe te fa resucità, dedicata al padre morto. «Ha un testo bellissimo però si parla di più di quella con la storia del detenuto». E per capirlo basta andare a guardare i numeri delle visualizzazioni dei due videoclip su Youtube

Dario De Luca

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