Uno jihadista fatto in casa. Con il computer e il telefono pieni zeppi di video e immagini che, secondo gli inquirenti, avrebbero rimandi unidirezionali: l’esaltazione di Daesh. Termine arabo con cui viene identificato lo Stato islamico e le sue cellule attive in Iraq e Siria. Dietro il nome di Giuseppe D’Ignoti, catanese 32enne convertito all’Islam con il nome di Yusuf – equivalente arabo di Giuseppe – ci sarebbe stato più di un campanello d’allarme. Su di lui hanno lavorato a lungo gli investigatori della polizia di Catania. Tre gruppi, Postale, Antiterrorismo e Digos, che hanno messo insieme un lungo elenco di accuse, culminate nella notifica di un’ordinanza direttamente in carcere. Perché D’ignoti dalla fine del 2017 si trova dietro le sbarre, recluso al Pagliarelli di Palermo, dopo essere stato ammanettato per la presunta riduzione in schiavitù dell’ex compagna. Una donna dell’est Europa conosciuta attraverso una chat di Whatsapp. Adesso per l’uomo si apre un nuovo fronte con l’accusa di apologia e istigazione al terrorismo.
«Un’attitudine già emersa prima di finire in galera nel 2017. A preoccupare era la sua volontà di fare una sorta di salto di qualità», spiega durante la conferenza stampa il vicequestore aggiunto della sezione antiterrorismo, Antonio Migliorisi. Per gli inquirenti, D’Ignoti non si sarebbe più limitato a condividere sui social network video e immagini che inneggiavano alla guerra santa. «Era intenzionato a trasferirsi nella regione del Sinai – continua Migliorisi – Cercava una casa libera per cominciare una sorta di addestramento. Lo ammetteva chiaramente». Una sorta di foreign fighters mancato: «Quella è una bella zona, spariamo e ammazziamo tutti», diceva. Agli atti delle indagini sono finite, infatti, decine di conversazioni telefoniche e messaggi. Ai suoi interlocutori, secondo gli inquirenti, l’uomo si rivolgeva senza troppi giri di parole. Come quando, parlando in italiano ma con la tipica cadenza catanese, commentava di volere «pulire Milano e la Calabria».
In questa storia c’è anche un personaggio grigio, all’anagrafe Aziz Sarrah, che sarebbe stato decisivo per la conversione all’Islam e la radicalizzazione del 32enne catanese. I due si sarebbero conosciuti nel 2011, all’interno del carcere di Caltagirone. Qualche anno dopo, però, le loro strade si separano. D’Ignoti esce di prigione dopo avere scontato una condanna a cinque anni per le violenze a cui avrebbe costretto la moglie. Sarrah, invece, viene espulso dall’Italia e fa rientro in Marocco perché trovato in possesso di un vessillo dell’Isis. Una bandiera nera con le scritte in arabo «non c’è divinità se non Allah» e «Maometto è l’inviato di Dio». «In carcere D’Ignoti – spiega in conferenza stampa Marica Scacco, della Digos – ha pure imparato l’arabo e prega regolarmente».
Foto e video non venivano conservati a lungo nei dispositivi dell’uomo. Ecco perché la polizia Postale ha dovuto recuperare una grossa quantità di file cancellati dagli archivi. «Si tratta di materiale – spiega il dirigente Marcello La Bella – che fanno di questo soggetto una persona che istigava al terrorismo». Ma come è nata l’indagine? Decisiva sarebbe sta una segnalazione della figlia dell’ex convivente di D’Ignoti. La stessa che insieme alla madre si era trasferita a Catania, da un piccolo centro della Lombardia, per stare insieme al nuovo compagno. «A lei (la figlia, ndr) – continua Migliorisi – si rivolgeva, spesso con toni minacciosi, come un affiliato dell’Isis. Ma non sono emerse prove riguardo la sua effettiva partecipazione». L’ex compagna, oggi residente in una località protetta, per diversi mesi sarebbe stata costretta a subire le sopraffazioni dell’uomo. Tra queste l’obbligo di indossare il velo o quello di guardare insieme alcuni filmati in cui venivano uccisi gli infedeli. La svolta arriva a settembre 2017, quando la vittima denuncia D’Ignoti dopo essere scappata in treno fino a Torino.
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