Margherita Tomasello sorseggia una coca cola con ghiaccio e una fetta di limone. Sospira: «Siamo stanchi. Molto stanchi. Fare impresa, in Sicilia, è difficile. Farlo nel nostro settore è ancora più difficile. Troppe speculazioni. Troppi speculatori. Troppi tappiatori». I tappiatori, dalle nostre parti, sono quelli che prendono qualcosa – per esempio la merce – e poi non la pagano. Succede anche con la pasta? «Altro che! Consegniamo il nostro prodotto a chi dovrebbe venderlo al dettaglio. Se succede qualcosa poi sono problemi nostri. Non potete immaginare quante volte questo qualcosa succede…».
Insomma siamo subito entrati in tema. Margherita Tomasello è una delle rappresentanti di una storica famiglia di imprenditori della provincia di Palermo. Impossibile, in Sicilia, non conoscere la pasta Tomasello, stabilimenti a Casteldaccia, sulla strada statale 113, la vecchia panoramica Palermo-Messina. Da qualche settimana la notizia rimbalza da un giornale all’altro: la Tomasello chiude, il gruppo Tomasello cede la propria azienda. Che succede? Già in dieci giorni commentatori e giornalisti economici hanno detto tutto e il contrario di tutto. Noi siamo andati da Margherita Tomasello. Per farci raccontare la sua versione dei fatti. E, naturalmente, per raccontarla ai nostri lettori. Ben sapendo che, parlando di questa gloriosa azienda, saremo costretti a parlare di uno dei settori più disastrati di una sempre più disastrata agricoltura siciliana: la granicoltura.
«Tanto per cominciare – ci dice Margherita Tomasello – ho letto, anche sul vostro giornale, che il prezzo del grano, in Sicilia, sarebbe schizzato a 40-45 centesimi di euro al chilogrammo. Questo è vero per i commercianti che lo vendono ai pastifici. Ma agli agricoltori siciliani il prezzo che viene riconosciuto è più basso: intorno a 26-27 centesimi di euro. Certo, magari qualche grosso agricoltore potrebbe essere riuscito a spuntare un prezzo più alto di 27 centesimi. Ma sono casi rari. I prezzi li decidono i commercianti. I produttori di grano della Sicilia non sono consorziati. Non fanno massa critica. Subiscono». Questo è il primo punto dolente della granicoltura siciliana: la debolezza storica dei produttori agricoli. Tanti granicoltori, spesso titolari di piccoli appezzamenti di terreno. Ognuno che va per i fatti propri. Tutti nelle mani di due, al massimo tre commercianti che fanno il bello e il cattivo tempo. Sono gli intermediari di una filiera tutto sommato corta. Che assicura a chi commercia il grano enormi guadagni a scapito di agricoltori e pastifici. Eliminando quest’intermediazione non sarebbero in crisi i primi (agricoltori) e non sarebbero in crisi i secondi (pastifici). Se così fosse avremmo la prova che la politica siciliana, dal 1950 (anno della riforma agraria siciliana) ad oggi sia servita a qualcosa. Invece – parlano i fatti – non è servita a niente.
«Detto questo – prosegue Margherita Tomasello – anche noi abbiamo commesso i nostri errori. Uno su tutti: avere affidato la guida della nostra azienda a un esterno. Tutto è cominciato quando mio padre è andato in pensione. In famiglia siamo tanti. Ci sono quattro capostipiti. Così abbiamo deciso di affidarci a un soggetto diverso da noi. A un esterno, per l’appunto. Non l’avessimo mai fatto! Però non mi chiedete il perché. Quello che posso dire è che non era Marchionne». Chiediamo alla nostra interlocutrice quando, grosso modo, è iniziata la crisi. Margherita Tomasello sorride. «I problemi non sono mai mancati – ci risponde – perché, in Sicilia, a non funzionare è il sistema. Ma se proprio dobbiamo individuare la data in cui tutto è precipitato, beh, siamo sempre lì: il 2008. L’anno della bolla speculativa. Che non ha certo risparmiato il mercato del grano. Ricordo che il prezzo è schizzato da 23 a 45 centesimi di euro al chilogrammo. Ovviamente, il prezzo che i commercianti facevano a noi. Quell’anno ci hanno massacrati. Avevamo i contratti firmati con la grande distribuzione organizzata. I nostri costi di produzione sono raddoppiati. Ma la pasta che abbiamo consegnato alla grande distribuzione organizzata ce l’hanno pagata al vecchio prezzo. In pratica, abbiamo lavorato in perdita».
Già, la grande distribuzione organizzata. La nostra sensazione è che questo sia un altro dei punti nevralgici di quello che la nostra interlocutrice definisce il «sistema sbagliato». Margherita Tomasello torna sorridere. Ma è un sorriso amaro: «La grande distribuzione organizzata è un Far West. Non c’è un regolamento, non c’è una legge. Fanno quello che vogliono. Decidono loro i ribassi dei prodotti senza nemmeno avvertire i fornitori. Noi dobbiamo solo pagare e sorridere. Vi siete chiesti chi paga tutti i volantini che arrivano copiosi nelle vostre case? A pagarli non è la grande distribuzione organizzata. Pagano le aziende. Cioè noi imprenditori. Del resto, se sei nel volantino con i tuoi prodotti in offerta, guadagni di più. Come non accettare?».
A questo punto è Margherita che pone una domanda: «Vi siete chiesti perché, nel giro di pochi anni, i titolari della grande distribuzione organizzata cambiano nome?». In effetti, è un interrogativo che ci siamo posti anche noi. Nel giro di tre anni, il supermercato che sta a due passi da casa nostra – parliamo sempre di grande distribuzione organizzata – ha cambiato nome tre volte. «Il gioco è semplice: falliscono e non pagano i fornitori. Arrivano i curatori fallimentari e inizia la lunga discussione. Si arriva al concordato. Che, di solito, è intorno al 30 per cento. Per capire: se l’ultima fornitura che abbiamo consegnato ha un valore di 100mila euro ci daranno 30mila euro. Ovviamente, è un tempo futuro molto siciliano…». Nella lingua siciliana – osserviamo – il futuro non c’è. «E spesso non ci sono nemmeno i soldi del concordato – sottolinea Tomasello – Abbiamo concordati che attendiamo da anni. I nomi? A che servirebbe? Lasciamo perdere. Ne volete sapere un’altra? A un certo punto la giustizia scopre che il titolare di un grosso centro commerciale è mafioso. Per carità: tutto giusto. Il problema è che a noi quel centro commerciale deve dei soldi. Arrivano gli amministratori giudiziari. Che quasi sempre non sono imprenditori. Le attività dopo un po’ chiudono e noi salutiamo i soldi che ci devono. Secondo voi in queste condizioni si può fare impresa?».
Chiediamo a Margherita lumi sulle navi cariche di granaglie che arrivano in Sicilia. Ci sono micotossine? È la storia che ci ha raccontato Cosimo Gioia, imprenditore agricolo, nominato per un breve periodo dirigente generale presso l’assessorato regionale all’Agricoltura e poi silurato proprio perché avrebbe voluto fare chiarezza su questa storia. Margherita Tomasello annuisce: «Capita che nelle operazioni di insilamento del grano non vengano rispettate certe regole sanitarie. Così spuntano le micotossine. Purtroppo succede. Noi, nella nostra azienda, siamo molto attenti. Per questo operiamo con un laboratorio d’analisi informatizzato. Se nel grano che lavoriamo troviamo qualcosa che non va, lo scartiamo». «Detto questo – aggiunge – non bisogna generalizzare facendo di tutta l’erba un fascio. Si può lavorare benissimo con il grano estero se non ci sono problemi di micotossine. Penso al grano greco, a quello spagnolo, al grano francese e al grano canadese. Quest’ultimo è uno dei migliori del mondo. Con la più alta percentuale di proteine. Per ora i prezzi del grano canadese sono altissimi. Noi lavoriamo con il grano duro siciliano, che è tra i migliori del mondo».
Sempre con l’intermediazione dei commercianti? «Ovviamente. Con tutti i problemi che ho cercato di descrivere. Che faremo nel futuro? Non lo so. Tutte le opzioni sono possibili. Quello che posso dire è che siamo stanchi, molto stanchi. Comunque andranno le cose un fatto è certo: lotteremo per mantenere marchio e qualità». Domandiamo se le banche le hanno creato problemi. «Mai – assicura – Nemmeno nei momenti di difficoltà. Quello che dico può sembrare strano ma è così. Lavoriamo con tante banche. Che devo dire? Forse ci conoscono. Sanno chi siamo e come lavoriamo. Mi piace pensare che ci stimano».
Chiediamo chi, in questi giorni difficili, ha manifestato vicinanza a quest’azienda storica. «Tantissima gente – ci dice – Persone che conosco e che non conosco. Su Facebook centinaia e centinaia di contatti. Da non poterci stare dietro. Questo mi ha dato, ci ha dato una grande forza. C’è chi si è fatto fotografare con la nostra pasta. Grandissima e tantissima solidarietà. Una cosa la voglio dire: il giorno dopo che la notizia dei nostri problemi si è diffusa, mi ha chiamato l’assessore regionale alle Attività produttive, Linda Vancheri. Una persona meravigliosa. Mi ha detto: cosa posso fare? Cosa possiamo fare? Mi ha chiamato anche, dopo una settimana e forse più il presidente degli industriali di Palermo. Non gli ho nemmeno risposto». Perché? «Perché non mi va di perdere tempo».
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