Il governo dei tecnici? No, grazie. Meglio la politica

di Paolo Luparello,
presidente dell’Associazione “Perché no…qualcosa si muove”

Sono oramai alcuni anni che va di moda il “governo tecnico”. Non so, esattamente, quando è iniziata questa consuetudine, ma all’inizio aveva una sua ragion d’essere.

I primi governi tecnici, soprattutto a livello nazionale, hanno dovuto affrontare delicati momenti di crisi per affrontare i quali i partiti, forse su “indicazione” di qualche Presidente della Repubblica, hanno deciso di “abdicare” il proprio ruolo per metterlo nelle mani di personalità di assoluto spessore, quanto meno sulla base del curriculum vitae.

Personalità che sono state scelte, tranne qualche eccezione, per le specifiche competenze professionali e poste nei dicasteri dove hanno potuto mettere a disposizione la propria esperienza. I risultati, guardando almeno all’esperienza Monti, non sembrano essere stati esaltanti e di qualche tecnico non se ne sentirà assolutamente la mancanza.

In Sicilia non si è voluti essere da meno e anche se non sono stati costituiti governi totalmente “tecnici”, già dai tempi di Cuffaro si è presa l’abitudine di innestare nella squadra di governo qualche “tecnico”. Lombardo non è stato da meno, ma almeno la legislatura l’aveva iniziata con un governo politico per poi chiudere con tecnici del calibro di Gaetano Armao, Massimo Russo, Caterina Chinnici e altri ancora …alcuni addirittura per pochi giorni o settimane (Andrea Vecchio, per esempio).

Con Crocetta non si è nemmeno posto il problema del governo politico … solo tecnici. E che tecnici!

Forse è ancora presto per tirare le somme di questa esperienza. Come in tutte le rivoluzioni c’è un periodo di distruzione e poi c’è un periodo di ricostruzione. Il periodo di distruzione sembra che sia stato ben avviato e protagonisti migliori forse non se ne sarebbero potuti trovare.

Ma detto ciò, perché si deve fare ricorso a un governo “tecnico” all’indomani delle elezioni? Se un candidato presidente vuole proporre una squadra di governo, ebbene, questa dovrebbe passare attraverso il consenso popolare non soltanto del presidente, ma di ciascun componente del suo futuro esecutivo.

Diversamente, il governo sembra diventare un tram il cui “trolley” (leggi presidente) decide chi far salire e chi far scendere quando decide lui, senza contare che l’investitura dell’elezione popolare darebbe maggiore autorevolezza ai diversi assessori che non si dovrebbero sentire semplicemente dei “tecnici” pronti a dover scendere alla prossima fermata del tram.

Ma c’è un altro aspetto che a mio parere non va nella commistione politici-tecnici. Le leggi di riforma della Pubblica Amministrazione si fondano sul concetto di separazione dei ruoli del livello politico da quello dell’Amministrazione. Da un lato la politica che elabora visioni e progetti e che ne controlla e ne indirizza la realizzazione; dall’altro l’Amministrazione fatta di funzionari e di tecnostrutture chiamate a realizzare quei progetti nell’ambito delle risorse assegnate con le leggi di bilancio e di settore.

La separazione deve essere netta. E invece assistiamo a politici che diventano tecnici (dirigenti generali, dirigenti responsabili di strutture di collaborazione degli organi politici, amministratori di società, enti, altro) e a tecnici che diventano politici assumendo, checchè se ne possa dire, ruoli politici di governo.

Il popolo vota, fino a quando deciderà di continuare a esercitare questo diritto, per scegliere da chi essere governato e dato che non vota soltanto per il capo del governo, ma anche per il Parlamento, sarebbe legittimo aspettarsi che il programma politico sulla base del quale si è scelto il capo del governo venisse portato avanti da deputati che a quel programma si ispirano e che hanno deciso di attuarlo una volta eletti.

Naturalmente il ricorso ad assessori di estrazione parlamentare costituirebbe anche un consistente risparmio… che di questi tempi non nuoce.

Torno quindi alla domanda: governo tecnico? Perché?

La politica si assuma le sue responsabilità e se ha bisogno di “tecnici” li chiami alla guida di tecnostrutture o di società partecipate ed enti piuttosto che cooptarvi figure di diversa umanità… spesso in cerca di autore!

L’esperienza dell’attuale governo della Sicilia sta dimostrando tutti i limiti di questo modo di interpretare il ruolo di “scelto dal popolo”… 20 o 30 anni fa non avrei mai immaginato che un giorno avrei scritto una simile riflessione. Potremo pure immaginare l’architettura istituzionale che tutti ci invidiano, ma se a guidarla saranno le persone sbagliate i risultati saranno sempre gli stessi: la mediocrità e l’interesse personale al potere!

 

 

Redazione

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