Solitamente in Sicilia, i Presidenti della Regione, si presentano ai processi come imputati. Per reati gravi che, come dimostrano gli anni passati, vanno dal peculato a mafia e dintorni, Da Giuseppe Drago a Salvatore Cuffaro, da Giuseppe Provenzano a Rino Nicolosi, fino a Raffaele Lombardo. Una sorta di ‘maledizione’ secondo qualcuno, che colpisce con regolare cadenza gli inquilini di Palazzo d’Orleans.
Non è così per Rosario Crocetta. Che, forse, è destinato a sciogliere ‘il sortilegio’ dei governatori indagati. Stamattina, infatti, l’attuale Presidente della Regione siciliana, si è presentato davanti alla Corte d’appello di Caltanissetta per il processo d’appello sul progetto di Cosa nostra di ucciderlo quando era sindaco di Gela. Una minaccia che avrebbe riguardato anche il giudice nisseno Giovanbattista Tona.
“Non è facile coesistere col pensiero che da oltre dieci anni c’é qualcuno che ti vuole fare la pelle”, ha detto Crocetta all’Ansa.
Parliamo dell’inchiesta ‘Extrema Ratio’, che vede 11 indagati, tra cui i quali figurano i due presunti killer che sarebbero stati incaricati dell’esecuzione del piano di morte, e che ruota intorno al clan Emmanuello di Gela.
Crocetta ha illustrato ai giudici le fasi della sua battaglia per la legalità contro le famiglie mafiose gelesi. E ha ricordato, in particolare, la sua decisione di licenziare la moglie di Daniele Emmanuello, che dipendeva dal Comune di Gela come Lsu, lavoratrice socialmente utile.
Il processo è stato aggiornato al 7 maggio.
(as)
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