Il giudice Alfredo Gari stroncato da un infarto Quarant’anni di carriera e un solo errore

Tra poco sarebbe andato in pensione. Eppure, a portare via il giudice Alfredo Gari dagli uffici della procura etnea non è stata la fine di una lunga e onorata carriera giudiziaria a Catania, ma un infarto, ieri mattina. Aveva 68 anni ed era il presidente aggiunto dei gip di Catania. Attualmente stava presiedendo il processo Iblis in cui sono coinvolti, tra gli altri, il presidente della Regione Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, per la presunta corruzione riguardo ai voti di scambio nati dai rapporti tra mafia, imprenditoria e politica. Tra le altre cose, si stava occupando anche del violento sgombero del centro popolare Experia: da maggio 2011 si attendeva una sua decisione sull’acquisizione dei video dell’emittente televisiva Telecolor, che permetterebbero di continuare le indagini del fascicolo aperto a carico degli agenti della polizia di Stato.

L’ottobre scorso era stato al centro dell’attenzione mediatica per la scarcerazione di 16 condannati in primo grado per associazione mafiosa, tornati a piede libero per un suo ritardo nel depositare la sentenza. I termini erano scaduti e, intanto, i presunti affiliati al clan degli Scalisi, erano tornati a casa, ad Adrano. «È una mia colpa – aveva ammesso il giudice nel corso di una nostra intervista – il primo errore in quarant’anni di carriera. Incidenti di questo genere non dovrebbero accadere. Ma si tratta di un problema di sostenibilità dei carichi di lavoro. Siamo in pochi e oltre alla mancanza di personale dobbiamo far fronte non solo ai processi lunghi ma anche alle continue emergenze quotidiane». Nel suo ufficio, al terzo piano del palazzo di giustizia catanese, Gari era rammaricato: «Non sono riuscito a fare in tempo – aveva detto – questo errore mi brucia, me ne dispiaccio davvero». L’unica macchia di un’intera carriera, ci teneva a precisarlo. E molti tra colleghi magistrati e avvocati lo stimavano.

«Vent’anni fa il giudice Edo Gari fu il primo magistrato catanese a scrivere in una sentenza che Giuseppe Fava era stato assassinato dalla mafia per il suo impegno giornalistico contro i poteri della città. Gari non riuscì ad andare oltre l’omicidio ad opera di ignoti, ma ebbe la dignità e il coraggio – che mancarono alla maggior parte dei magistrati catanesi – di spezzare il cerchio della calunnia e dell’omertà», lo ricorda l’amico Riccardo Orioles, giornalista de I Siciliani.

Federica Motta

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