Nel centrosinistra siciliano il successo di Pietro Bartolo potrebbe rappresentare molto più di una semplice elezione al Parlamento europeo. L’ampia convergenza sul medico di Lampedusa da parte di settori diversi della società civile e della politica, dai cattolici a una parte della sinistra, nonché la sua presenza all’interno della lista del Partito democratico, potrebbero essere i primi semi da far crescere per un progetto di ampio respiro che guarda fino alle prossime elezioni regionali. E su questo orizzonte si muove il presidente della commissione antimafia regionale Claudio Fava.
Fava, prima di passare all’analisi del voto, cominciamo dal lavoro della commissione. Oggi sono riprese le audizioni su una delle indagini più attese, quella sull’agguato all’ex presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. Chi verrà sentito?
«Ascolteremo i poliziotti testimoni di quanto accadde e quelli protagonisti in ambito giudiziario, ma anche i giornalisti che si sono occupati del caso. Serve certezza e chiarezza, perché molte domande sono rimaste senza risposta».
Da quanto vi risulta, la magistratura ha aperto nuove indagini sulla vicenda Antoci?
«Non ci risulta che ci sia una nuova indagine su quegli eventi, altrimenti sarebbe a Messina. Invece c’è a Patti un’indagine aperta, con un supplemento di valutazione, sulla morte di Tiziano Granata, il poliziotto che quella notte faceva l’autista al commissario Manganaro (Granata sarebbe morto per una leucemia fulminante, ndr)».
Torniamo alle Europee, secondo lei Bartolo potrà avere un ruolo politico all’interno del Pd?
«Non credo che debba, né voglia avere un ruolo politico nel Pd. Farà bene il parlamentare, portando in Europa i suoi temi, a cominciare da quello dei diritti. Ma soprattutto penso al significato di questo voto: in Sicilia, nella frontiera dove Salvini pensava di costruire la contrapposizione sui temi dell’immigrazione, c’è l’affermazione di un candidato che meglio di altri rappresenta valori opposti. Questo significa che su certi temi è possibile costruire del consenso, perché c’è un voto di opinione forte. Bartolo non ha alle spalle un apparato, ha invece conquistato un voto trasversale».
Bartolo non ha un apparato, ma in tanti stanno provando a mettere il cappello su questa elezione.
«Non si mettono cappelli sui voti d’opinione. Il cappello lo puoi mettere quando sei tu che porti voti a qualcuno, qui è Bartolo ad averli portati».
Già, un consenso trasversale che la sinistra da tempo non riusciva a intercettare.
«La sua elezione ci insegna che aprirsi, costruire un campo largo in cui si riconoscano tutte le forze democratiche e progressiste senza chiudersi in recinti, paga».
Lei ha più volte ribadito che è sterile avere solo diritto di tribuna e che invece l’ambizione di questo fronte deve essere governare la Sicilia. È pensabile farlo senza il Partito democratico?
«No, è chiaro. Ma si deve costruire un progetto ampio, un insieme di esperienze civili, sociali, di militanza. Non si può pensare di sommare la vecchia grammatica politica. Il fronte da mettere in rete non è Pd più un soggetto ypsilon, più un soggetto zeta. Ci devono essere anche le organizzazioni politiche, ma non solo quelle. Io ho sostenuto Bartolo, ma non sono elettore del Pd né voglio iscrivermi al Pd. Però le singole culture politiche non possono tenersi il vestito stretto, cambiando nome a ogni elezione ma rimanendo sempre le stesse. Questo è narcisismo».
Come valuta il radicamento sul territorio del movimento Centopassi dopo le regionali?
«Centopassi esiste nel lavoro che facciamo dentro e fuori le istituzioni, lo spirito di quest’esperienza s’incarna ogni giorno in ciò che realizziamo. Se qualcuno è convinto che l’unico modo di fare politica sono le tessere di partito è indietro di un secolo. Serve un movimento fluido capace di intercettare le battaglie reali».
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