Il dibattito sull’unità spacca ancora la sinistra Pd non molla, chi è uscito vuole nuovo partito

Il dibattito è ancora aperto, più sui social e nei palazzi che nei bar, a dirla tutta, ma tra chi si sente sempre meno rappresentato dalle politiche dei governi nazionale e regionale, cresce il sentimento di un ritorno all’unità di una sinistra sempre più spaccata e frammentata. E se da una parte i giovani, i movimenti, le associazioni, si riconoscono nella comunità che si è radunata spontaneamente sul molo di Catania nei giorni di stallo della nave Diciotti, più complicato è trovare un pensiero unico nella classe dirigente chiamata a elaborare una proposta politica, per quanto poi, in maniera trasversale, sia chiaro a tutti che la ricostruzione «dovrà stavolta partire da quanto i territori hanno già costruito in questi anni, lontano dai partiti».

Su questo punto è l’ex candidato alla presidenza della Regione, oggi a capo della Commissione antimafia all’Ars, Claudio Fava, a sottolineare come una «nuova sinistra non debba partire dai propri storici dirigenti ma dal basso, restituendo la capacità di elaborazione alla base. È necessario – aggiunge – considerare conclusa l’esperienza del Pd e chiamare a raccolta chi fino a ora è stato chiamato solo come elettore».

Sulla stessa linea anche Angelo Capodicasa, secondo cui «il dibattito è ben più radicato del ritorno di questi giorni, al punto che si potrebbe dire che Walter Veltroni sia arrivato se non ultimo, quasi. Ma la condizione deve essere che ci sia un profondo dibattito e un’analisi delle cause di questa sconfitta e della frammentazione, figlia anche dell’operazione politica che si è fatta negli ultimi anni. Se un partito come il Pd – aggiunge – perde 5 milioni di elettori nell’arco di tre o quattro anni, non si può decidere da dove ripartire senza prima aver ammesso e riconosciuto, tutti, dove si è sbagliato».

Una prospettiva che fa a pugni, invece, con la visione del segretario regionale dem, Fausto Raciti, secondo cui, al contrario, «non è sciogliendo il Pd che si risolve il problema. Certamente bisogna allargarlo, rafforzarlo, cercare sponda, ma non si deve commettere l’errore di smantellare quella che in questo momento è l’unica forza di opposizione in un momento in cui da Fratelli d’Italia a Forza Italia, dai 5 stelle alla Lega, c’è un muro delle forze politiche attorno a questo governo, attorno all’azione più grave, quella della Diciotti, contro l’Europa e in asse con Visegrad (l’asse tra Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia che promuove posizioni euroscettiche, sovraniste e respingenti in tema di migrazioni, ndr) e contro i principi costituzionali, per altro in assenza di alcuna emergenza».

E se il segretario generale della Cgil Sicilia, Michele Pagliaro, si dice convinto che una nuova sinistra debba nascere «abbandonando i protagonismi di qualcuno e promuovendo un progetto identificabile, che parli ai giovani, che parli di lavoro e di diritti», è l’ex governatore Rosario Crocetta a sostenere, invece, che guardare a una sinistra italiana sia ormai un concetto superato dai fatti. Secondo il Crocetta-pensiero, «la questione che abbiamo di fronte non è affaire tutto italiano, non si comprenderebbe la complessità e la globalità dello scontro che è in atto. Se guardiamo – aggiunge l’ex governatore siciliano – a quello che avviene in America con Donald Trump, se guardiamo alla nascita di tendenze sovraniste dentro l’Unione Europea a cui si allea una parte importante del governo del nostro Paese, il tema non è più tornare a una sinistra unita in Italia, ma è necessario mettere in campo un progetto internazionale. La gente pur di migrare scavalca muri di sei metri, sopporta le torture in Libia, sfida la morte in mare aperto. Quale sarà lo scenario che ci attende nei prossimi anni? Quello di Paesi, o parti di essi, che diventano sempre più ricchi e di altri che diventano disperati e affamati?».

Sul gap non soltanto tra Stati e continenti, ma anche all’interno del Belpaese interviene anche Capodicasa, secondo cui «in Italia abbiamo un piccolo problema  che si chiama Mezzogiorno, che continua a essere un elemento divaricante, che ci fa vivere in un Paese a due velocità: un pezzo è agganciato all’Europa e un altro invece vive nell’abbandono – continua Capodicasa – con un’emigrazione in forte ripresa e una desertificazione industriale che lo rende più simile a un Paese del terzo mondo che all’Europa. Se non attuiamo politiche per liberarlo – conclude – il Mezzogiorno sarà sempre un’area dello scontento, dove attingono a piene mani i finti rivoluzionari».

Ripartire dai diritti è un punto su cui torna spesso anche Claudio Fava, secondo cui «dobbiamo parlare di diritti declinati sul piano della vita materiale. E mi sembra anche inutile sottolineare – continua – che non basta dire che la colpa è di Matteo Renzi e che tolto lui va tutto bene. Quando abbiamo sbattuto l’età della pensione ai massimi storici, quando abbiamo ritenuto che il partner più affidabile fosse l’impresa italiana, quando abbiamo relegato i fondi per il diritto allo studio sempre a percentuali marginali – ricorda – per cui i ragazzi se ne sono andati, quando abbiamo pensato che la lotta alla corruzione fosse materia giudiziaria da affidare ai tribunali e non questione morale che riguarda ciascuno di noi, abbiamo perso. Bisogna ripartire – conclude – non soltanto dai titoli della carta costituzionale, ma dai titoli della vita quotidiana degli italiani».

«Purtroppo – conclude Salvo Lipari, presidente di Arci Sicilia – il mondo dell’associazionismo ha sempre avuto una maggiore capacità, pur nelle differenze, di stare insieme e fare rete sui singoli temi, come sui progetti politici. Dobbiamo riuscire a superare l’idea dell’egemonia, che porta ciascun gruppo dirigente a voler mettere il cappello prima che lo faccia l’altro. Di certo le immagini consegnate dalle piazze di Catania e Milano segnano uno  spartiacque. Si tratta adesso di sedersi, confrontarsi anche aspramente, e trovare insieme un modo per fare fronte comune».

Miriam Di Peri

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