Il Covid visto da chi lavora nelle campagne di Vittoria «Se il coronavirus arriva nelle serre moriamo tutti»

«Se il virus entra nelle serre moriamo tutti». Chokri sta seduto nella sala d’attesa della Camera del lavoro di Vittoria. Ha la sua carta d’identità in mano, figlia di un regolare permesso di soggiorno. «Sono tra i fortunati – sorride – ma qui metà dell’agricoltura va avanti sulle spalle di chi lavora in nero». Nella fascia trasformata tra Vittoria, Santa Croce Camerina e Acate vivono circa cinquemila migranti. È una stima, considerato che una larga fetta è irregolare. Un popolo che nell’emergenza Covid-19 convive con la paura della malattia, l’angoscia di ritrovarsi senza reddito («perché – dice un altro migrante in attesa – adesso ci sono più controlli e i proprietari chiedono i documenti per poter lavorare») e la speranza che a Roma vada in porto la regolarizzazione dei braccianti senza permesso. Un provvedimento di cui si parla, ma al momento nei cassetti del governo. Chokri, 46 anni che sembrano dieci in più, racconta da testimone privilegiato. 

«In queste settimane dormo in campagna. E come me tantissimi altri. Prima del virus non era così. C’era chi stava in paese e chi in campagna. Ma oggi spostarsi è diventato troppo difficile, non ci sono mezzi di trasporto pubblici, perché allo Stato non interessa di noi. Prima uno passava con l’auto e la riempiva. Quattro, cinque persone. Oggi no, ti fermano se porti più di una persona. Così se hai come raggiungere il posto di lavoro bene, altrimenti niente. L’unica cosa rimasta è dormire direttamente in campagna».

Si riescono a mantenere le distanze? A prendere le precauzioni minime contro il Covid?
«Impossibile. In un’azienda ci sono 20-25 persone che dormono insieme, spesso tutti in un garage. Se arriva il virus, moriamo tutti».

Pure tu dormi in queste condizioni?
«Sì, non ho come andare in campagna altrimenti».

Non hai paura?
«Certo che mi fa paura, ma qual è la soluzione? Mi dai tu un’altra soluzione? Qua stanno aspettando il morto. E poi se muore uno irregolare neanche si sa chi è. Queste persone non hanno nome, documenti. È gente che non esiste. Non lo saprebbe nessuno. Chi lo conosce? Sappiamo che si chiama Alì. Ma poi? Chi è suo padre? Da quale Paese viene? Che documenti ha? Niente, non c’è niente. L’agricoltura è questa».

Cosa cambierebbe con un permesso di soggiorno?
«Tutto: la possibilità di curarsi, di affittare una casa vera. Anche se devo dire una cosa: i giovani col permesso di soggiorno vanno via dall’Italia. Vanno in Francia, in Germania. Seguono la loro strada. Chi resta in Sicilia? Qui a Ragusa? Quelli che hanno più di 40 anni come me e chi non ha documenti. La polizia e i carabinieri lo sanno che qui ci sono centinaia di irregolari. E che in ogni azienda ce ne sono almeno cinque che si aprono il culo e la mandano avanti».

Tu quando sei arrivato qui?
«Avevo 20 anni, ora ne ho 46. A qualcuno che è arrivato insieme a me è stato tolto il permesso di soggiorno adesso, a quest’età. Solo perché per un anno non è arrivato a raggiungere le 102 giornate di lavoro. Dopo vent’anni mandato affanculo così, facile facile. Io non ce l’ho con l’Italia. L’Italia è il nostro Paese, tanto quanto la Tunisia. Ho vissuto più qui che lì. Non sto parlando male dell’Italia. Io parlo di chi comanda, di chi sta a Roma, in Parlamento. E che guarda a queste persone come schiavi. Fino a quando chi comanda ti guarda come uno schiavo, allora immagina chi sta più in basso, i proprietari e gli altri! Ci sono persone che vengono pagate 20 euro al giorno. Io, dopo 26 anni che sono qui, prendo 30 euro».

Il rischio del Covid così passa quasi in secondo piano.
«La colpa è dello Stato. Tutti sanno che in queste campagne ci sono tante persone che lavorano per far arrivare i prodotti dell’agricoltura sulle tavole degli italiani. E non le puoi ignorare. È vero, la malattia se viene viene per tutti. Per quelli che hanno documenti e per quelli che non ce li hanno. Ma io che il documento ce l’ho, posso scappare, posso affittare una casa, posso tornare al mio Paese. Chi non ce l’ha come fa? Non ha nessuno».

Salvo Catalano

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