«L’avevamo promesso a giugno, subito dopo lo sgombero dell’ex Hard rock cafè di via Cristoforo Colombo 10». Comincia così il comunicato con il quale gli attivisti del centro popolare Colapesce annunciano una nuova occupazione: sempre in via Cristoforo Colombo, nella zona del porto di Catania, stavolta nei locali che furono della discoteca Vità, al numero civico 48. Un locale notturno «enorme, i cui locali sono stati abbandonati al degrado dalla proprietà, un’azienda di edilizia residenziale dal nome Edil re, che nessuna nuova destinazione ha mai proposto».
«Molti ci diranno ancora una volta che occupare, secondo la legge, è un reato – continuano gli attivisti – Occupare è per noi uno strumento necessario per dimostrare che l’assenza cronica di servizi e alternative non è una questione di possibilità, ma di volontà, per dimostrare che uniti siamo più forti, che dal basso e senza soldi possiamo fare tanto, tantissimo, per cambiare in meglio un quartiere, una città, le nostre vite».
Il centro popolare occupato Colapesce riapre così i battenti dopo quattro mesi di chiusura. Era il 4 giugno 2019 quando le forze dell’ordine hanno sgomberato quello nei locali dell’ex Hard rock cafè, dove da tempo si svolgevano diverse attività culturali e di inclusione sociale destinate ai residenti del centro storico, e non solo. Un pesante cancello di metallo è stato saldato di fronte alla porta e per giorni un presidio permanente degli attivisti è rimasto con i piedi piantati proprio a due passi degli Archi della marina.
L’immobile di proprietà di Unicredit era stato occupato a gennaio 2018 prendendo il nome di Colapesce. Dopo un lungo abbandono durato almeno dieci anni e una complicata storia di gestione legata a diverse società operanti in altri settori fatta di concessioni in leasing e fallimenti. Lo sgombero era stato deciso dopo una denuncia della proprietà, a cui i locali sono stati restituiti dopo l’intervento della polizia.
Ora la strada del Colapesce riparte a breve distanza da dove si era interrotta. «Se qualcuno avesse voglia di conoscere i nostri progetti, di sapere cosa vogliamo fare, di darci un consiglio o proporci un’alternativa – concludono gli occupanti nella nota di oggi – noi rimaniamo disponibili, ma non spetta a noi chiedere giustizia, noi la pretendiamo e la conquisteremo con lotta, l’unico modo in cui storicamente i subalterni sono riusciti a conquistare i propri diritti».
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