Il caso Cutrò: la mafia vince a Bivona

Mafia e dintorni

Di grande interesse ci sono apparse le dichiarazioni che il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ha reso a Nanopres.it in occasione della presentazione del libro-intervista “Lo Spallone” di Fabrizio Capecelatro (l’intervistato è Ciro Mazzarella, un personaggio di tutto rilievo nel panorama del contrabbando di sigarette in Italia).

Dice Roberti: “Se non ci fossero questi rapporti – la domanda riguarda i rapporti Stato-mafia – non ci sarebbe più criminalità mafiosa in Italia. Sono, infatti, questi rapporti che permettono a bande di malavitosi l’entrata in rapporto con l’economia lecita, riciclando i loro proventi, offrendo i loro servizi e, quindi, strutturandosi e potenziandosi”.

Parlando poi di rifiuti Roberti ha affermato: ”Lo smaltimento illegale dei rifiuti non è un monopolio della camorra, in realtà è un delitto d’impresa: il traffico organizzato dei rifiuti presuppone che ci sia un imprenditore disonesto che, per risparmiare sui costi di smaltimento legale, si rivolge ai camorristi. Se non ci fosse l’imprenditore disonesto non ci sarebbe neanche l’offerta di chi smaltisce illegalmente i rifiuti. Quindi, tutta la tragedia dei rifiuti in Campania nasce proprio dal rapporto perverso di imprenditori di tutto il paese, ed anche stranieri, con la criminalità organizzata”.

Di seguito passa ad altro argomento e aggiunge: “La corruzione, poi, è un grande reato contro l’economia, perché altera la concorrenza facendo pendere la bilancia delle scelte amministrative da un lato o dall’altro, provocando lo scadimento qualitativo dei prodotti e dei servizi che vengono offerti. La percezione della corruzione, inoltre, scoraggia gli investitori onesti.

Questi non sono gli unici ad essere scoraggiati, come dimostra la storia di Ignazio Cutrò, uno dei tanti testimoni di giustizia abbandonato dallo Stato e ridotto in miseria. Ci ha provato finché ha potuto, ma in Italia, si sa, la mafia sembra sempre far comodo. E il copione che si ripete incessante nei confronti dei testimoni di giustizia alla fine ci ha fatto perdere anche Ignazio Cutrò”.

Chi è Cutrò? Come sappiamo, è l’ imprenditore di Bivona, un comune della provincia di Agrigento, che ha messo la propria vita a repentaglio, in nome della legalità. Egli che fin dal 1999 ha subito le prime richieste di ‘pizzo’, si è regolarmente rifiutato di pagare, in seguito ha subito, prima le minacce e poi gli attentati. Con la denuncia dei suoi estorsori imboccò la difficile strada dei testimoni di giustizia e mal gliene incorse. Infatti, come dice lo stesso Cutrò a L’Espresso: “Io avevo deciso di continuare a lottare. Sono rimasto nella mia terra perché ero convinto che fosse necessario dare una testimonianza concreta di come sia possibile sconfiggere la mafia. Ero convinto che lo Stato mi avrebbe aiutato. Oggi mi sento sconfitto e il segnale che arriva a chi testimonia contro le cosche mafiose non è certo incoraggiante”.

Cutrò, ridotto in miseria, ha deciso di lasciare l’Italia. “Grazie alle sue dichiarazioni – continua il procuratore Franco Roberti – numerosi esponenti di clan mafiosi erano finiti in galera. Per la magistratura la sua testimonianza era un gioiello da custodire con cura. Non per lo Stato che lo ha lasciato solo con se stesso

La sua decisione di lasciare l’Italia è stata ponderata a lungo. A determinarne la decisione è stata la bocciatura della della richiesta da lui avanzata al ministero degli Interni di assicurare ai propri figli la possibilità di “rifarsi una vita altrove, con una nuova identità, assistiti da un sussidio”. I suoi figli hanno tentato di stabilirsi altrove. Hanno frequentato l’università a Milano, ma poi sono dovuti tornare a Bivona per le ristrettezze economiche della famiglia.

In una recente lettera al vice ministro degli Interni, Filippo Bubbico, Cutrò, tra l’altro, scrive: “Oggi la mafia vince a Bivona. Sarò costretto a fare le valigie ed andare via dalla mia terra, con la mia famiglia. Ho cercato di lavorare e di mantenere la mia famiglia ma non ci sono riuscito dopo avere denunciato gli estorsori mafiosi. Tutto da quel momento è andato contro, nemmeno le istituzioni hanno impedito che io e la mia famiglia perdessimo tutto. Tutte le istanze che ho presentato sono state negate. Forse c’era un disegno anche dello Stato ad impedire di risollevarmi; come ha fatto la mafia, d’altronde”.

E continua: “Vado via da questo Paese, sto vendendo tutto ciò che resta della mia azienda, ma voglio che tutti sappiano cosa accade ad un testimone di giustizia e alla sua famiglia quando decide di denunciare le estorsioni mafiose. Forse le leggi che regolano i rapporti con i testimoni di giustizia non permettono ai cittadini che si trovano in questa veste di vivere una vita normale, ma queste norme avrebbero potuto essere adeguate al caso in questione, quale prototipo di futuri casi similari”. Ed a questo proposito Cutrò conclude: “A quanto pare questa volontà non c’è. Non c’è la volontà di passare ai fatti, ma si vuole lasciare tutto alle chiacchiere ed ecco i risultati”.

* * *

Questa lunga intervista riportata da Nanopress, ed in particolare la frase conclusiva sono la testimonianza della incapacità (o la scarsa volontà?) dello Stato italiano di mettere la parola fine allo storico fenomeno della mafia in Sicilia. La dimostrazione storica è nel fatto che dal 1962 si susseguono ad ogni legislatura le commissioni parlamentari antimafia e l’unico risultato concreto che queste hanno prodotto sono le misure avanzate una quarantina di anni addietro dalla relazione di minoranza dell’eroico deputato comunista, Pio La Torre e successivamente trasformate in legge per iniziativa dello stesso. Dopo di lui chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere. Da qui la domanda che ci poniamo in sede storica: quanti secoli ancora dovrà studiare la speciale commissione parlamentare per capire che l’estendersi del fenomeno su scala nazionale ed ora anche europea è dovuto a protezioni e sostegno che a queste organizzazioni malavitose vengono dall’estero, magari da oltre Atlantico?

Riccardo Gueci

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