Igor D’India scende in campo per il fiume Oreto «In dieci anni può diventare patrimonio Unesco»

«Mio nonno mi ha raccontato di quando nel fiume Oreto la gente andava a farsi il bagno». Parla di memorie lontane Igor D’India, videomaker e documentarista palermitano che quel fiume, il principale della città, l’ha esplorato in lungo e in largo, risalendolo dalla foce alla fonte, prima e ridiscendendolo nel percorso inverso qualche anno dopo. Adesso fare il bagno nell’Oreto sarebbe impensabile. «Ho visto di tutto – racconta D’India – dalle carcasse di auto ai cartelli stradali arrugginiti nell’acqua, ho ripreso gli scarichi che sversano sostanze inquinanti nel fiume e i cumuli di rifiuti gettati sotto ai ponti». Così, dopo un lavoro, The Raftmaker, che presto potrebbe essere trasmesso in televisione e che ha portato l’esploratore palermitano a solcare i fiumi di mezzo mondo, arriva la presa di posizione di Igor D’India, che lancia la sua proposta per far sì che Palermo si riappropri del suo fiume vedendolo come risorsa, addirittura come patrimonio dell’Unesco e non come discarica.

«Ho pensato che fosse il momento di dire la mia, di fare qualcosa – spiega a MeridioNews – Non si tratta del progetto di un professionista che passa al vaglio delle istituzioni, ma di una mia idea. Chiunque può prendere spunto, può anche dirmi che è assurdo e irrealizzabile in questi termini, che non ne ho capito niente e presentare una proposta alternativa. Ne sarei felice. Perché l’importante è che del fiume Oreto si torni a parlare e che se ne parli molto». L’idea di Igor si articola in un arco temporale di dieci anni. I primi tre dovrebbero essere impiegati a ricreare il senso di appartenenza dei palermitani nei confronti del fiume. «Dagli anni ’80, in un periodo in cui l’educazione ambientale era ancora assente, si sono moltiplicati gli scarichi e i rifiuti e i palermitani hanno visto il fiume non più come un luogo dove fare il bagno e i pic nic, ma come qualcosa di sporco. Bisognerebbe partire dal volere cambiare questa concezione, i cittadini dovrebbero pensare all’Oreto come a una risorsa».

Poi andrebbe fatta la bonifica. «Ma dovrebbe essere qualcosa di capillare, che non può coinvolgere solo un soggetto come l’amministrazione comunale, ma tutti gli enti competenti, inclusi Lipu e Wwf. Tutti dovrebbero lavorare in sinergia perché le operazioni possano essere efficaci e con il minimo impatto». Ed effettivamente l’ultimo tentativo di bonifica di un tratto del fiume, varato lo scorso maggio dal Comune, ha avuto vita brevissima, stoppato quasi immediatamente dall’intervento delle associazioni ambientaliste. Ma non solo. «Una volta bonificato – dice il videomaker – bisognerebbe anche organizzare un sistema di sorveglianza che funzioni veramente. Sotto quasi ogni ponte ci sono cataste di rifiuti di ogni tipo, scaricate anche con mezzi pesanti. Questo perché i controlli non esistono. Ecco, i ponti per esempio dovrebbero essere presidiati in qualche modo, per evitare che la storia si ripeta».

Infine, una volta realizzato il parco, starebbe al Comune e alle associazioni sportive e naturalistiche preoccuparsi di mantenerlo vivo. «Ho visto scorci, gole, arrampicate, sull’Oreto, che mi hanno ricordato la zona di Pantalica, nel Siracusano – continua Igor D’India – Specchi d’acqua simili a quelli di Cavagrande. Sarebbe una risorsa incredibile. Punti meravigliosi ma ancora inaccessibili, per via della vegetazione o dei rischi che comporta per il territorio. Ed è un bene che al momento restino tali, visto che un sentiero, un percorso, al momento, senza il giusto controllo, potrebbe solo istigare le persona a inoltrarsi di più nel parco e nascondere meglio i propri rifiuti, lontano da occhi indiscreti». L’appello di Igor, lanciato a mezzo social, ha già ricevuto molte adesioni. «Mi hanno contattato in tantissimi – conclude – Alcuni pensano che sia io che mi debba occupare di tutto ciò e hanno proposto raccolte fondi, ovviamente così non è; altri mi hanno mandato le loro idee. Di sicuro può essere un primo passo, ma dobbiamo parlare molto del fiume Oreto, parlarne sempre».

Gabriele Ruggieri

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