Si allontana sempre di più la tanto attesa testimonianza dell’ex boss etneo e neo collaboratore di giustizia Giuseppe Mirabile. Un’audizione prevista per la prossima settimana al processo Iblis sui presunti rapporti tra politica, mafia e imprenditoria e anticipata oggi da quella del fratello Paolo. Almeno secondo i piani dell’accusa, saltati dopo una discussione con le difese sui verbali del pentito. La questione, tecnica ma non solo, ha impegnato metà della lunga udienza nell’aula giudiziaria del carcere di Bicocca, lasciando posto alla testimonianza di Francesco Alampo, presidente di fatto della cooperativa Enotria con interessi a Ramacca. Durante una passata udienza era già stato sentito il reale presidente, Salvatore Petralia, che poco però poteva dire sulle eventuali pressioni subite durante l’iter dei lavori, seguiti da Alampo. Si è avvalso invece della facoltà di non rispondere l’ex deputato regionale Giovanni Cristaudo – prima Pdl, poi eletto nella lista Nuova Sicilia , assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel filone dello stesso processo svolto con il rito abbreviato, ma ancora fermo al primo grado di giudizio.
A sollevare la prima questione in aula è l’avvocato Francesco Antille. «Di Paolo Mirabile la procura ha messo a disposizione di noi difensori un solo verbale, del 30 novembre 2012, ricco di omissis e per di più che non si riferisce a questo processo». Stessa situazione di un altro prossimo testimone, il fratello Giuseppe Mirabile. «Entrambi hanno cominciato a collaborare quando questo processo era già iniziato – risponde il pubblico ministero Antonino Fanara – Nei loro racconti, inoltre, i collaboratori si autoaccusano di alcuni fatti che verranno trattati in procedimenti separati. I verbali sono quindi secretati e io ho scelto di produrre solo quello in cui si fa riferimento agli imputati di oggi». Ma, tra premesse e cortesia di rito – «Non è che non ci fidiamo del pm, ma…» – gli avvocati rimangono poco convinti. «Con i verbali spezzettati e che solo lui conosce, il pm ha il potere assoluto sugli altri», ribatte l’avvocato Enzo Trantino. Una polemica che dura fino a quando la corte non decide: l’audizione dei Mirabile va rimandata, affinché la procura abbia il tempo di controllare negli almeno undici verbali di Paolo – e nella ventina di quelli del fratello Giuseppe – se sono presenti ulteriori riferimenti agli imputati di Iblis e, in questo caso, farli avere ai difensori.
Chiusa la questione, si passa alla testimonianza di Francesco Alampo. Dipendente regionale, della sovrintendenza ai Beni culturali di Catania, negli anni ’80 socio fondatore e presidente della cooperativa Enotria, con all’attivo dei lavori a Tremestieri etneo. «Quando a me è subentrato Petralia alla presidenza, i soci mi chiesero di continuare a seguire ancora i lavori della cooperativa», spiega. In qualità di esperto nella presentazione e nello svolgimento dell’iter burocratico necessario. Lavoro – prestato anche ad altre cooperative – per il quale, specifica, non percepiva guadagni. «Qualche regalo – racconta – I rimborsi per la benzina, le cene». Ma Alampo, nel corso della sua testimonianza, dimostra di avere un’idea vasta della parola regalo: con la quale identifica anche quello che poi chiamerà «un prestito» di cinquemila euro avuto da Massimo Biondi, della ditta di Adrano New world costruzioni. I due si sono conosciuti in occasione del progetto di 13 villette a Ramacca. La società di Biondi era stata scelta da Alampo per svolgere i lavori. «Ma un giorno si presenta da me Carmelo Finocchiaro (imputato in Iblis ndr) e mi dice con tono minaccioso che dovevo revocare l’appalto alla New world perché il lavoro lo voleva fare lui con la sua ditta, I templari», racconta Alampo.
Insieme a Finocchiaro, presenti all’incontro sarebbero stati anche altri imputati: Pasquale Oliva e Giuseppe Tomasello, ex assessore del Comune di Ramacca, «socio della cooperativa e cognato dell’ingegnere Giuseppe Verde, il progettista». «Mi hanno detto “Qui non entra nessuno. Deve lavorare questa ditta”», continua Alampo. Che, anche se in aula non lo ricorda, in un precedente verbale rilasciato ai carabinieri aggiunge: «Mi dissero che dovevo affidare a loro i lavori perché era interessato anche Di Dio (Rosario, presunto boss di Ramacca) descritto come un criminale influente nella zona». Gli stessi figli di Di Dio, spiega Alampo, erano già soci dell’Enotria, poi dimissionari, «ma in tempi non sospetti». La presunta minaccia fa comunque effetto su Alampo che, racconta, decide di affidare i lavori alla ditta di Finocchiaro e di ritirarsi. «Non ho seguito più la vicenda di Ramacca perché avevo timore di ripercussioni», ammette.
Dopo il lungo contro esame delle difese, l’udienza si chiude con un piccolo giallo. Mentre viene interrogato dall’avvocato Rosario Pennisi, Alampo dice una mezza frase: «Quando sono stato sentito dall’avvocato…». «Da chi, scusi? Lei ha detto di essere stato sentito solo dai carabinieri», si altera il pm Fanara. «Io… ehm… no… Il mio avvocato», risponde Alampo, senza saper riferire il cognome del proprio legale. «Qui si insinua che io abbia già visto questo signore», tuona Pennisi. Che continua a gridare, sordo ai richiami del presidente Rosario Grasso. Finché la voce di quest’ultimo, alta e alterata, non si impone nell’aula: «Avvocaaatooo!». Finale poco a sorpresa per un’udienza fin dal principio nervosa.
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