Iblis, parla l’imprenditore Santo Massimino «Aiutai Aiello perché sono un benefattore»

A rischiare di più sembrano essere gli imprenditori. È questo lo scenario che emerge dalla udienze di queste settimane del processo Iblis, dove al microfono si alternano gli imputati che hanno accettato di sottoporsi ad esame. Dopo l’ex assessore alle attività produttive di Ramacca Giuseppe Tomasello, è toccato all’imprenditore Santo Massimino rispondere alle domande di magistrati e avvocati. Un racconto lungo ore e incentrato per lo più sui suoi rapporti con Vincenzo Aiello, ritenuto dai magistrati l’allora capo provinciale di Cosa Nostra etnea. Contatti provati dalle indagini, con somme di denaro che, dalle tasche di Massimino, raggiungevano quelle di Aiello e dei suoi presunti collaboratori. Eppure, stando al racconto dell’imputato, non si sarebbe trattato di estorsioni – magari in cambio di lavori e protezione – ma di un aiuto nei confronti di un conoscente.

Santo Massimino, classe 1951, è un imprenditore di Acireale. Tra i suoi lavori principali, è lui stesso a ricordare spesso i parchi eolici, per i quali «la mia ditta era tra le poche in Italia ad avere i mezzi adeguati». Ex presidente dell’Acireale calcio, su domanda del magistrato Antonino Fanara in aula non nasconde una certa attrazione per la massoneria. «Vi entrai circa 25 anni fa a Milano, nella bellissima Cisalpina (il nome della loggia, ndr), dove ho conosciuto un sacco di belle persone – racconta – Mia moglie mi ha detto che ero stato uno st… Uno stupido, stavo per dire uno stronzo. Così lo stesso giorno mi sono ritirato e basta. Ne ho fatto parte per un paio di minuti».

«Aiello l’ho conosciuto quando ha citofonato al mio ufficio ad Acireale e si è presentato elegantemente come il geometra Aiello – racconta Massimino – In ufficio venivano persone più o meno rozze e non ho mai chiesto loro i documenti. Aiello apparteneva ai meno rozzi». E con interessi lavorativi in comune con l’imprenditore, soprattutto nel settore dell’eolico. Una persona affabile è il ritratto di Aiello dipinto dalle parole di Massimino, «sempre sorridente e allegro, sembrava una persona perbene, non potevo pensare…». Tanto che l’imprenditore gli presta 15mila euro la terza volta che lo incontra. «Viene a chiedermi se posso cambiargli un assegno, che in quel momento aveva a Firenze e mi avrebbe portato al rientro, perché aveva bisogno di soldi per fare operare la moglie – racconta Massimino – Io sono un operatore di pace riconosciuto dall’Onu e pochi mesi prima avevo vissuto la stessa tragedia: perché non avrei dovuto aiutarlo?». Ma quell’assegno l’imprenditore non lo ha mai più visto.

Nonostante lo abbia chiesto più volte al geometra Aiello, anche tramite amici comuni, sempre riuniti nella stazione di servizio di Antonino Bergamo a Sferro, condannato a quasi dieci anni per associazione mafiosa nel rito abbreviato di Iblis e ritenuto dai magistrati il braccio destro di Aiello. «Lì ci passavo sempre, mi fermavo a prendere un panino o la pillola mentre andavo al mio cantiere a Castel di Judica – continua – Era l’unico bar in quel deserto». In cui si rifornivano anche i mezzi di lavoro di Massimino, «e infatti i miei pagamenti a Bergamo sono stati sempre e solo per il carburante», dice. Lì incontra anche Aiello, come dimostra una foto che immortala un saluto affettuoso tra i due, con un bacio. «In quel periodo ero al centro della mia ischemia, con il bastone e l’occhio tappato. Se quest’uomo arriva e mi dà un bacio, io forse nemmeno me ne sono accorto. Che facevo, lo schivavo? Me lo piglio e basta». Nonostante i 15mila euro prestati e mai tornati indietro. «Quando gli ho chiesto dei soldi mi ha detto: “Ma come? Io mi sono interessato affinché non succedesse niente nei tuoi cantieri e tu mi chiedi indietro i soldi?” – racconta Massimino – Così ho capito che i miei 15mila euro li potevo salutare e che non era la persona corretta che credevo». Un mafioso, dirà invece nell’interrogatorio reso ai pm all’inizio delle indagini.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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