Iblis, Paolo Mirabile e la mafia nel Calatino «Santapaola jr? Non lo vedo da ragazzino»

Racconta tutto in modo chiaro Paolo Mirabile. A ritmo sostenuto, ma senza l’urgenza di voler aggiungere troppi dettagli propria di alcuni collaboratori di giustizia. Poco più che trentenne, catanese, nipote di Antonino Santapaola, fratello del boss Nitto, ha fatto la sua comparsa oggi in video conferenza, di spalle, al processo Iblis sulle presunte collusioni tra politica, mafia e imprenditoria nel Catanese. Ha raccontato del suo ruolo di responsabile delle estorsioni a Caltagirone e del rapporto con i suoi vertici e colleghi. Molti nomi tra gli imputati nel procedimento, ma non quello che alcuni si aspettavano di sentire: Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto e presunto capo assoluto, seppure nell’ombra, secondo un altro pentito, Santo La Causa. «L’ho conosciuto da ragazzino e l’ultima volta che l’ho visto avrò avuto 15 anni. Parlo di 16 o 17 anni fa – racconta Mirabile – Nell’ambiente malavitoso non l’ho mai sentito nominare». O meglio, come risulta nei verbali resi ai magistrati, solo una volta «per un incontro che si doveva fare» e che era stato riferito allo zio Alfio Mirabile.

Collaboratore da novembre dello scorso anno, ha seguito la scelta del fratello Giuseppe Mirabile, che verrà ascoltato nel corso delle prossime udienze. «Volevo cambiare vita, dare un futuro a mia figlia che ha undici anni», spiega. Una decisione presa anche in seguito all’intimidazione subita dall’attività di famiglia: il panificio San Giovanni, in via Plebiscito, le cui vetrate sono state raggiunte a fine ottobre da sette colpi di pistola. La carriera criminale di Paolo Mirabile segue quella del fratello Giuseppe e dello zio Alfio, responsabili dal 2001 del gruppo di Monte Po affiliato ai Santapaola e, in seguito al passaggio di consegne da parte di Francesco La Rocca, delle «azioni pratiche», le estorsioni, nel Calatino. «Il mio ruolo era conosciuto solo a noi – racconta Mirabile – Se mio fratello e mio zio fossero stati arrestati, io sarei subentrato nelle estorsioni e nei rapporti con gli affiliati perché sapevo cosa avevano fatto e cosa si doveva fare. Ero una specie di mappa».

Un ruolo che Paolo Mirabile non assume subito, tra dubbi e carcerazioni, ma solo nel 2009, dopo una detenzione durata quattro anni. «I responsabili dei gruppi locali dei Santapaola mi affidarono il gruppo di Monte Po e Caltagirone, nel Calatino – spiega – Per Monte Po mi diedero la carta, cioè la lista delle attività soggette a estorsione nella zona, mentre per Caltagirone mi dissero che avrei dovuto incontrare il responsabile di tutto il Calatino, Pasquale Oliva», imputato nel processo. A Oliva, secondo i racconti di Mirabile, facevano capo anche le attività di Ramacca, aiutato da Massimo Oliva «e da Giovanni, non ricordo il cognome, cognato di Alfonso Fiammetta», responsabile quest’ultimo dell’area di Palagonia. Tutti nomi di imputati in Iblis.

I lavori nel Calatino procedevano con regole certe: «I soldi delle estorsioni venivano raccolti da Oliva, che poi ne distribuiva metà a Catania e metà tra Palagonia, Ramacca e Caltagirone»,  racconta Mirabile. Messe a posto di lavori come quelli per la costruzione del palazzetto dello sport di Caltagirone, alcuni pannelli fotovoltaici nella zona o l’interporto di Catania, ma che non sempre – come in questi casi – andavano a segno. Una parte del denaro veniva poi utilizzato per i colleghi in carcere. «Una volta Nuccio Oliva mi disse che stava cercando di creare lo stipendio per Rosario Di Dio (imputato anche lui in Iblis, fraterno amico suo e di suo fratello Pasquale, che era stato arrestato», dice Mirabile.

Altre estorsioni, ma di cui Mirabile avrebbe solo sentito parlare, sarebbero poi quelle che vedevano protagonista un altro imputato, Francesco Pesce, «proprietario di una ditta di pulizie che lavora nei centri commerciali, come le Porte di Catania, e con alcune attività dentro Sigonella». E proprio dalla base Usa nel Catanese «mi raccontavano che negli anni ’90 arrivavano anche 40 milioni di lire al mese, non so se di Pesce o procurati da lui». Un’attività redditizia che Mirabile avrebbe voluto far ripartire, «ma mi dissero che Pesce era un amico e non andava importunato».

Una carriera quella dell’oggi testimone di giustizia che si incrina quando dai Santapaola iniziano ad arrivare le accuse di essere passato al gruppo dei Carrateddi. «Volevo capire chi potesse addirittura negare la nostra parentela e per questo contattati Vincenzo Santapaola. Non vedevo persone più in alto di lui», racconta Mirabile. «Ma in quanto figlio di Nitto», specifica poi il collaborante su richiesta dell’avvocato di Santapola jr. Nessuna menzione del suo presunto ruolo in Cosa nostra. «Lui comunque mi fece sapere che era dispiaciuto di questi problemi ma che non voleva essere coinvolto, non ne voleva nemmeno sapere niente, perché lui lavorava e aveva la sua trattoria».

[Foto di Palazzetto dello Sport – Caltagirone su Facebook]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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