Iblis, l’accusa dell’imprenditore antiracket «Usuraio mi invitò a votare per Lombardo»

«Per le elezioni provinciali del 2003, D’Urso mi portò i volantini di Raffaele Lombardo, invitandomi a votare per lui». Giovanni D’Urso è l’imprenditore arrestato all’inizio dell’inchiesta Iblis e coinvolto nell’affare della costruzione del Centro Sicilia in contrada La Tenutella, dove secondo la Procura di Catania si sarebbero infiltrate le famiglie mafiose. A raccontare l’episodio è stato stamattina Rosario Puglia, imprenditore vitivinicolo di Linguaglossa che nel 2008 ha denunciato i suoi estorsori (tra cui lo stesso D’Urso che per questo è stato rinviato a giudizio in un altro processo). Puglia è stato sentito come teste nell’aula bunker di Bicocca dai pubblici ministeri Antonino Fanara e Agata Santonocito nell’udienza del processo ordinario nato dall’indagine della Procura etnea.

«Sapevo che D’Urso era un usuraio – racconta Puglia – per avere i soldi lo incontrai molte volte sia negli uffici di via Etnea, sia al cantiere La Tenutella. Figurava come semplice dipendente, ma mi disse chiaramente che era lui il vero proprietario del centro». L’imprenditore di Linguaglossa parla anche di un altro politico, Fausto Fagone, l’ex sindaco di Palagonia, anche lui imputato per mafia nello stesso processo. «Lo incontrai una volta al cantiere, me lo presentò D’Urso». Puglia non sa spiegare cosa ci facesse Fagone al centro La Tenutella, che, precisa il pubblico ministero, ricade nel Comune di Misterbianco, non certo di Palagonia. «Non feci domande, pensai che era lì perché ci fosse bisogno di un appoggio politico», precisa il produttore di vini che racconta di altri incontri avvenuti sempre al cantiere. In particolare della presenza dell’imprenditore Rosario Ragusa, imputato nel processo Iblis e socio di D’Urso, con cui tuttavia i rapporti erano tesi. «D’Urso lo chiamava u cunnutu – continua Puglia – mi disse che aveva sottratto dei soldi e che per questo andava fatto sparire». «Eliminato fisicamente», precisa su richiesta del pm.

Con il secondo teste di giornata, il colonnello Gaetano Scillia, dal 2004 al 2010 alla direzione della Direzione investigativa antimafia di Messina e attuale dirigente della Dia di Caltanissetta, l’attenzione si è spostata ancora una volta sugli interessi della criminalità nel settore dell’eolico. E in particolare della posizione di Mario Giuseppe Scinardo, l’imprenditore originario di Capizzi legato alla famiglia di Sebastiano Rampulla, deceduto da poco e ritenuto il rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Messina. Il fratello, Pietro Rampulla, è l’uomo che mise a disposizione il telecomando per la strage di Capaci. Il colonnello Scillia ricostruisce i rapporti tra Scinardo e Vito Nicastri, il signore dell’eolico nel Trapanese, a cui il Tribunale di Trapani ha sequestrato nel 2010 beni per un miliardo e 500mila euro ed indicato dai magistrati come vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.

«Scinardo e Nicastri erano soci nella costruzione del parco eolico di Vizzini», racconta Scillia. La società Callari, riconducibile a Scinardo, tra il 2005 e il 2006 riceve dalla Regione un contributo a fondo perduto di 3milioni 280mila euro per la costruzione del parco. Il 20 giugno del 2006 arrivano anche le autorizzazioni richieste. «Otto giorni dopo – spiega il colonnello – la Callari srl viene acquisita dalla società Lunix, costituita proprio il 20 giugno, con sede in Lussemburgo, di cui uno dei soci è Nicastri». Le quote societarie della Lunix finiranno alla Alerion, società quotata in borsa.

Quella di oggi è stata l’ultima udienza estiva del filone ordinario del processo Iblis . Si riprenderà l’11 ottobre. Ma una tappa importante è fissata per il 3 ottobre, giorno in cui la corte di Cassazione, dopo il rimbalzo di competenze dei mesi scorsi, deciderà se il processo può andare avanti davanti al Tribunale etneo o dovrà essere nuovamente trasferito in Corte d’Assise.

Salvo Catalano

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