I siciliani del Pd, tra analisi sconfitta e il congresso «Ai 5 stelle un voto trasversale, non dei poveracci»

Il dopo Renzi è iniziato all’insegna di un volto affabile come l’ex ministro all’agricoltura, Maurizio Martina. Bisogna cancellare al più presto gli strascichi dello scorso 4 marzo quando in Sicilia, il Pd ha racimolato appena l’11 per cento. Per la delegazione dell’Isola che ha partecipato alla direzione nazionale di lunedì è necessario invertire il trend per risalire la china. 

Chi non le manda a dire è Giuseppe Provenzano, vice direttore dello Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, membro della direzione nazionale Pd, che ha rinunciato alla candidatura alle scorse Politiche per dissentire rispetto ai criteri usati per la formazione delle liste. «Per trovare un risultato peggiore delle forze di sinistra, di centrosinistra – ha detto nel suo intervento a Roma – bisogna risalire a un tempo buio: 1924. La portata storica di questa sconfitta deve interrogarci a fondo». Per Provenzano il problema è la disomogeneità dell’elettorato. La difficoltà all’interno del partito di capire la fotografia attuale del Paese. «Il voto del Mezzogiorno meriterebbe un’altra direzione ad hoc. La seconda Repubblica finisce com’era iniziata, con un’Italia divisa sul piano economico, sociale, politico. Ma i 5 stelle hanno raccolto non solo i poveracci, che molti qua dentro continuano a denigrare come assistenzialisti, ma un voto trasversale: professionisti, intellettuali, pezzi di imprenditoria sana. Una vera alleanza sociale, che poteva essere la nostra, è diventata la loro».

Nel cuore del discorso di Provenzano c’è molto Sud, non poteva essere altrimenti per chi lo studia e lo analizza quotidianamente. «C’è un momento – ha spiegato – in cui la separazione tra élite e popolo diventa intollerabile oltre ogni misura. Quando le élite non risolvono i problemi del popolo, quando non sanno fare il loro mestiere, quando non sono élite. Élite in negativo, e non élite in positivo (come le intendeva Bobbio), un’élite non élite: questo è stato il Pd di Renzi». E come esempio concreto di questa tesi cita le dichiarazioni di Maria Elena Boschi, all’indomani delle elezioni. «Si rammarica non dei voti che ha fatto perdere al Pd, ma addirittura della “fine di un mondo di letture e buone maniere, di civiltà”. No, cara Boschi – dice Provenzano – in molte realtà, soprattutto nel Mezzogiorno, i candidati del M5S avevano curricula e profili migliori dei nostri. Cioè, dei vostri. Di quel nugolo di trasformisti e famigli vari raccattati in giro, specialmente al Sud. C’è stato un trapianto di ceto politico di centrodestra nelle nostre fila. E i nostri hanno avuto il rigetto. Avete fatto la polemica sul curriculum di Di Maio? La politica non si fa col curriculum: ma, visto che insistete, qual è il vostro? “Quali sono i vostri libri? Avete studiato?”. Perché oggi, di fronte alla complessità, se non vogliamo cedere alla barbarie, abbiamo bisogno di studiare di più. Se vogliamo farci capire, essere semplici, non bisogna studiare di meno, bisogna studiare di più. Non lo studio delle biblioteche, che pure non guasta. Uno studio vivo, fatto sporcandosi le scarpe. Con intelligenza. Con passione. Anche questo è un partito».

E per il futuro il rischio adesso è che il partito prenda la strada sbagliata. «Dobbiamo ritessere una trama sociale, con umiltà. Organizzare il conflitto, anche. Qui è il senso, e l’utilità, dello stare all’opposizione. Tornare al popolo. Non per dargli sempre ragione, al popolo. Ma per confrontarsi, anche duramente. Ma senza le tifoserie, i settarismi personali di questi anni. Abbiamo di fronte un popolo offeso. Ma spesso non perché privo di strumenti, ma perché non trova spazio per affermarli. E il Pd non è stato questo spazio. E rischia di esserlo sempre meno».

Da Roma a Palermo. Negli uffici di via Bentivegna c’è aria di fibrillazione. Gli strascichi delle ultime elezioni non sono ancora passati, ma intanto si deve guardare avanti: Il prossimo 10 giugno alle amministrative, compresi cinque capoluoghi di provincia. Ma a 90 giorni da quell’appuntamento il Pd non ha un segretario regionale. Fausto Raciti ha appena rimesso il suo mandato che comunque era in scadenza. «Il dato che è uscito dalle urne è stato devastante – dice Raciti -. Su dieci elettori, cinque hanno votato M5s, quattro per il centrodestra e uno solo per il Pd. Si tratta del dato più basso di sempre a livello regionale. Il tema di fondo di questa sconfitta ha due motivi. Il primo è che non siamo riusciti a conquistare l’elettorato moderato e poi, non siamo stati in grado di salvaguardare i nostri elettori tradizionali». 

Eppure, il Partito Democratico si è posto come terzo polo tra il centrodestra e il Movimento 5 stelle. «Il Pd non può continuare ad essere il meno peggio. Oggi ci sono tre correnti politiche e il Pd deve ricostruire la propria identità. In Sicilia siamo all’opposizione, ma questa opposizione va fatta seriamente. Noi siamo il Pd e non siamo compatibili con Lega o 5 stelle». Raciti vede due opzioni. «Il PD rischia seriamente di arrivare alle prossime tornate elettorali disaggregato – prosegue Raciti -. O si va verso le primarie o verso un’unità politica. Se non c’è unità politica è meglio andare alle primarie». La ricetta di Raciti è evitare gli errori del passato. «Alle amministrative non si può rinunciare al simbolo del nostro partito in nome di alleanze». Il riferimento è alle amministrative di Palermo, quando il Pd ha rinunciato alla propria identità per appoggiare la candidatura di Leoluca Orlando. «Abbiamo dato segnali contraddittori. Penso anche all’appoggio a Gianfranco Micciché per la presidenza dell’Ars».

Il deputato Giuseppe Lumia crede nella necessità di un rinnovamento interno che parta proprio dal prossimo congresso nazionale. «Il Pd ha perso tutto – dice Lumia contattato da Meridionews -. Ha perso l’anima e di conseguenza gli elettori non hanno più rinnovato la fiducia. Ha perso tre cose: una tendenza ideale, una dimensione progettuale e una capacità organizzativa. Non ci sono più i margini per tentennare, per accomodare». Il rischio è che alle urne, il 10 giugno, si verifichi una Waterloo politica. «Se non si dà un segnale deciso, almeno bisogna far capire che il partito ha rotto con il passato – prosegue Lumia -. Se il Pd non è pronto a questo passaggio sarà un altro disastro elettorale. Ma anche se si farà sul serio, le amministrative saranno solo una tappa di avvicinamento, un lento processo di ripresa». Adesso si attende il congresso nazionale che eleggerà il nuovo segretario e la direzione politica che prenderà il partito nella prossima legislatura. «Se al prossimo congresso vincerà nuovamente il partito dell’Io che ha portato alla rovina del Pd, il partito è destinato solo alla disgregazione. In Sicilia mi auguro che si metta il primo mattone della nuova costruzione smettendola con questo partito renziano che ha distrutto il Pd».

Roberto Chifari

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