«Sono un tipo storto e un poco duro. Uno a cui piace la disciplina». Era il 2015 e Nino Marano, durante un convegno sull’ordinamento penitenziario a Palermo, si presentava così. Il volto emozionato, camicia a righe e maniche sbottonate, alcune parole in dialetto siciliano e poi il racconto, a tratti commosso, di una detenzione durata 49 anni. Quel giorno era il detenuto più longevo d’Italia ma per tutti era semplicemente il killer delle carceri, l’uomo capace di uccidere a sangue freddo anche dietro le sbarre ma che, al microfono, giurava di essere cambiato. Nessuno, ascoltandolo, avrebbe pensato che proprio lui, dodici mesi dopo, sarebbe tornato a colpire. Diciotto coltellate al collo che hanno riempito di sangue i bronchi di Dario Chiappone. Era il 31 ottobre 2016 e per quell’omicidio Nino Marano adesso è accusato di essere l’esecutore materiale.
A lui oggi la procura di Catania ha notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Luogo dove si trovava da maggio scorso, quando era finito nei guai perché trovato, mentre era in macchina insieme al pregiudicato Sebastiano Furnari, con una pistola con matricola abrasa e un coltello a serramanico. Gli investigatori del Ris di Messina sono arrivati al 75enne confrontando le impronte digitali, estrapolate a maggio, con due reperti della carrozzeria di una Suzuky SX4. La macchina in cui, la sera del delitto, Chiappone si trovava in compagnia di Maria Alessandra Rapisarda. Il primo reperto, come scritto nei documenti del Ris, «presenta 18 punti caratteristici corrispondenti con il dito anulare di Marano. L’altro, invece, 12 punti coincidenti con il dito medio della mano destra».
A sorprendere Chiappone, come accertato dalle telecamere, furono due persone con il volto coperto. «Dario – raccontava la donna agli inquirenti subito dopo l’omicidio – è stato tirato fuori dall’abitacolo mentre io sono rimasta all’interno sotto la minaccia di una pistola». Fuori dal mezzo, a Riposto, in una strada buia e senza uscita in cui la coppia si era appartata, Chiappone viene ucciso con 18 colpi tra collo e torace.
Una storia dai contorni ricchi di ombre. Anche perché due persone, Salvatore Di Mauro e Agatino Tuccio, per il delitto si trovano imputati nel processo di primo grado. Di Mauro però è irreperibile perché, forse, latitante. Su Marano, invece, le attenzioni degli inquirenti si sono concentrate a partire dal 2017. Quando, come rivelano le carte dell’inchiesta, una fonte confidenziale «di provata attendibilità» ha parlato con i carabinieri. La persona ricostruisce il caso di un delitto su commissione indicando che l’incarico iniziale sarebbe spettato ai soli Di Mauro e Tuccio. Successivamente sarebbero stati i due pregiudicati a informare un capomafia di Riposto della famiglia Santapaola-Ercolano. Quest’ultimo, approvata l’esecuzione, si sarebbe poi rivolto a Nino Marano.
Il 75enne, stando alla ricostruzione fatta agli inquirenti, sarebbe tornato a uccidere dietro il pagamento di una somma di 50mila euro. Un killer ingaggiato, con i dettagli della cifra che finiscono al centro di un dialogo tra pregiudicati avvenuto in una casa di Riposto dopo l’arresto di Tuccio. I presenti avrebbero individuato Marano come esecutore materiale del delitto. Durante l’indagine, inoltre, sarebbero emerse le frequentazioni tra Tuccio (l’uomo finito imputato) e lo stesso Marano. A registrare tutto sono le microspie degli inquirenti piazzate nella Range Rover del primo. «Zu Nino – gli diceva un uomo in dialetto – salga davanti che ci sono i vetri oscurati».
A rimanere però aperte, nonostante l’ordinanza notificata a Marano, sono diverse questioni. Chi lo ha ingaggiato e perché? I motivi del delitto potrebbero essere legati a questioni passionali. La prima pista, quella della rapina finita male, sembrerebbe essersi arenata. Tra gli indagati era finito, salvo poi essere archiviato, anche Paolo Censabella. Ex convivente della donna che si trovava in compagnia della vittima. L’altro nodo di questa storia è legato al nome di Salvatore Di Mauro. Dove si trova latitante? Che fine ha fatto?
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