«Si esce e si ricomincia, agendo senza soluzione di continuità». Il moto perpetuo della mafia trova ampia descrizione nelle carte dell’inchiesta Odissea, che ieri, tra Acireale e Aci Catena, ha portato all’esecuzione di misure cautelari per tre quarti delle 24 persone coinvolte. Ad affermare come le cosche – da queste parti Santapaola e Laudani – proseguano incessantemente nelle attività criminali è stato il questore di Catania Vito Calvino. La tesi trova piena condivisione nelle parole del pm Marco Bisogni che ha sottolineato «la capacità di Cosa nostra di riorganizzare rapidamente la sua struttura criminale», dopo i fatti del 2018, quando il blitz Aquilia dei carabinieri colpì i vertici dei Santapaola. In quell’occasione in carcere finì pure l’ex deputato e sindaco di Aci Catena Pippo Nicotra, su cui pesa una condanna in secondo grado per concorso esterno.
Di quell’indagine, Odissea è in un certo senso la prosecuzione. L’ondata di arresti è arrivata a quattro giorni dal voto per le Comunali ad Aci Catena. Tuttavia, di politica, nell’inchiesta non se ne parla, anche per via dell’arco temporale coperto – da gennaio 2019 a novembre 2021 – che non ha visto in calendario scadenze elettorali. A essere presenti, invece, sono tutti gli altri temi cari alla mafia: pizzo, furti con annessi cavalli di ritorno, droga, usura. A finire sotto la lente degli inquirenti sono stati diversi volti noti agli uffici di polizia. A partire da Antonino Patanè, meglio conosciuto come Nino Coca Cola e considerato reggente dei Santapaola ad Aci Catena. Secondo la ricostruzione dei magistrati, Patanè – che è cognato del boss defunto Nuccio Coscia – avrebbe ripreso le redini della cosca subito dopo il ritorno in libertà, nel 2018. A bordo del suo scooter elettrico avrebbe curato gli affari del gruppo, a partire dalle estorsioni. Nel mirino c’era un po’ di tutto: dalle sale scommesse a una ditta fornitrice delle slot installate nei bar, fino a un gelataio ambulante. Aci Catena, che ufficialmente è la città del limone verdello, ha nelle brioche con il gelato vendute sulle moto-ape uno dei cavalli di battaglia della asfittica economica locale. «Prende duemila euro e me li dà, sennò mi dà la lapa (la motoape, ndr)», dice Patanè nell’estate del 2019. L’uomo è ignaro che ad ascoltarlo sono anche gli investigatori: a bordo dello scooter elettrico, per sua natura discreto in fatto di rumorosità, è installata una microspia. Ma l’uomo è solo uno degli esponenti storici finiti in carcere. A tracciare il profilo di molti indagati – da Alfredo Quattrocchi ad Alfio Brancato – è stato Mario Vinciguerra, che con i due fu arrestato nel 2013 nel blitz Fiori Bianchi. Vinciguerra, pochi anni dopo, ha iniziato a collaborare con la giustizia «portando lo scompiglio all’interno della cosca».
L’inchiesta ha svelato anche un piano, poi non andato in porto, per rifornirsi di pistole da un armiere di Enna. A rivelare il proposito ai sodali è Quattrocchi, spiegando come l’accordo avrebbe previsto la simulazione di un furto dietro il corrispettivo di diecimila euro. «Ci sono qualche venti pistole 22 (calibro 22, ndr) quelle da tiro», dice a Rosario Albicocco, il quale commenta: «S’ana accucchiari i soddi (si deve raccogliere il denaro, ndr)». Come detto, il progetto non si concretizza e non è chiaro se la colletta sia mai partita. Ad apparire evidente è invece il desiderio dei Santapaola di mettere le mani sui lavori per il parcheggio scambiatore che Rfi dovrebbe costruire ad Acireale, nell’ambito delle opere al servizio della fermata ferroviaria che sorgerà in centro. Anche se non si sa quando, considerato che il primo tentativo di gara d’appalto è andato a vuoto per via dei prezzi troppo bassi rispetto all’attuale costo delle materie prime. Leggendo le intercettazioni, il timore è che altri extra potrebbero essere imposti dalla mafia. «Ne sai qualcosa del parcheggio?». A porre la domanda a Rosario Panebianco, noto come Saro Catta Bollata e ritenuto responsabile del gruppo di Acireale, è Sebastiano Cutuli. Quest’ultimo, per gli inquirenti, è vicino ai Laudani, altro clan operante sul territorio ma da tanti anni in pace con i Santapaola. «Già hanno spianato tutte cose, gli hanno messo le vasche con l’acqua per fare i lavori», continua Cutuli. Panebianco, a quel punto, suggerisce: «Gli mandiamo a due…» Il discorso a quel punto va avanti e Cutuli sembra far capire che ad avanzare pretese potrebbero essere anche gruppi criminali attivi fuori città. «Dice che dai paesi, anche amici vostri (dei Santapaola, ndr), si usa così, che se le dividono», commenta Cutuli. Che però fa presente di non essere d’accordo: «Dice che qui sono cambiate le cose. Le cose non sono cambiate, perché se cambiano qui, cambiano in tutti i posti, o sbaglio?».
Tra i tanti episodi criminali finiti al vaglio del gip c’è anche l’estorsione ai danni di un uomo che aveva comprato casa ad Aci Sant’Antonio da un imprenditore edile – il 46enne Giuseppe Palazzolo, sottoposto all’obbligo di dimora – che avrebbe preteso il pagamento di 58mila euro nell’ambito di migliorie all’immobile che, per l’acquirente, non sarebbero state realizzate a regola d’arte. La vittima più volte sarebbe stata avvicinata da soggetti legati alla cosca. A impegnarsi nel recupero del credito, su cui i Santapaola nutrivano interessi, sarebbero stati Giuseppe Florio, Salvatore Indelicato, Carmelo Messina e il già citato Rosario Panebianco. I tentativi di entrare in possesso del saldo finale, tuttavia, sono andati in fumo anche per la resistenza della vittima. A riprova di come non cedere alle pressioni è il modo migliore per allontanarle da sé, c’è un’intercettazione finita agli atti dell’indagine.
Due degli indagati parlano dopo avere avvicinato per l’ennesima volta l’acquirente, ormai stanco di pagare. L’uomo, sorpreso a innaffiare il giardino, ha preso tempo prima di uscire in strada ed è rientrato nell’abitazione. L’eccessiva attesa ha insospettito uno degli emissari, temendo che la vittima potesse avere deciso di chiamare le forze dell’ordine. «Non è che questo per dire per telefono mi passa i vaddia (le guardie, ndr)? Ho visto che non si affacciava nessuno e me ne sono andato radente, radente (defilato, ndr)», commenta uno degli arrestati. A quel punto l’altro, immaginando un futuro contatto, suggerisce: «Se ti domanda (il riferimento è alla vittima, ndr): “Come mai ieri se n’è andato?”, gli dici: “Mi è venuto di andare in bagno”».
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