I Pupi antimafia di Sicilia raccontano la storia di Natale Mondo «Parte finale dell’attacco di cosa nostra alla squadra mobile»

La vicenda di Natale Mondo è una delle tante storie quasi dimenticate degli anni Ottanta a Palermo. Anni che sono iniziati gli omicidi eccellenti, come quello di Piersanti Mattarella e che si sono conclusi con l’assassinio di Natale Mondo e dell’ex sindaco Giuseppe Insalaco.

Storie che rischiano di perdersi e per questo bisogna continuare a raccontarle. Questa convinzione alimenta l’impegno di Angelo Sicilia che con i suoi Pupi antimafia cerca di fare luce sulle figure che hanno contribuito alla lotta contro cosa nostra che ancora restano poco note ma che rappresentano tasselli importanti della storia della nostra città. Questa volta ci raccontano del poliziotto ucciso il 14 gennaio di trenta anni fa nel quartiere Arenella. Lo spettacolo andrà in scena in occasione delle celebrazioni ufficiali alla caserma Lungaro

«Lo spettacolo nasce dopo che la famiglia Mondo mi ha invitato a realizzarlo – dice Sicilia –  conoscevano il mio lavoro e tenevano a dare risalto alla sua vicenda, anche perché giorno 14 gennaio ricorre il trentennale della sua uccisione. Una storia che mi ha segnato tantissimo. È accaduta nel 1988 in un quartiere come quello dell’Arenella, che conosco molto bene. E si è trattato della punta finale di un annientamento scientifico da parte della mafia di un lavoro come quello portato avanti dalla squadra mobile di Palermo alla fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta». 

L’omicidio Mondo, spiega ancora Sicilia, rappresenta quindi l’ultimo capitolo di un attacco micidiale da parte della mafia al gruppo di investigatori tra i migliori che la città abbia mai avuto. «Per questo ho voluto ricordarlo. Perché è una di quelle figure che ha vissuto in prima linea quegli anni. Attorno a questa vicenda ruotano investigatori del calibro del vicequestore Ninni Cassarà, del commissario Beppe Montana, di Calogero Zucchetto che fu uno dei primi di quel gruppo a essere ucciso nell’82, c’è anche il giudice Falcone che aveva come collaboratore proprio Cassarà nel pool antimafia ed era uno dei punti di riferimento per il lavoro di chi era impegnato nella lotta alla mafia». 

Natale Mondo era considerato il braccio destro di Cassarà sin dai tempi del loro lavoro alla questura di Trapani, nei primi anni Ottanta. Rimase vivo nell’attentato del 6 agosto dell’85 «quando i killer dello squadrone della morte – sempre quello –  che usciva da vicolo Pipitone all’Acquasanta, uccise a colpi di kalashnikov sia Ninni Cassarà che Roberto Antiochia, un giovane poliziotto, figura commovente dell’attaccamento al lavoro». Antiochia, ripercorre Sicilia, era un ragazzo di 23 anni romano, uno degli uomini di Montana, ucciso a Porticello di ritorno da una gita in barca. «Roberto tornò a Palermo rientrando dalle ferie e subito volle entrare nel gruppo di Cassarà e Mondo per lavorare alla ricerca dei mafiosi che avevano ucciso il suo capo. Così perse la vita nello stesso agguato in cui Mondo ebbe la prontezza, alla guida dell’auto, di nascondersi e sparare dei colpi contro i killer: così si salvò». 

Mondo fu in seguito accusato di essere una talpa in questura proprio perché era rimasto vivo. «Si fece oltre due anni di carcere – spiega Sicilia –  e poi fu prosciolto anche perché la vedova di Cassarà, Laura Iacovoni, testimoniò a suo favore rispetto alla sua assoluta innocenza». Poi i killer della mafia lo andarono a cercare e lo uccisero sotto casa, di pomeriggio, davanti al negozio della moglie, in via Papa Sergio. «Una storia di una crudeltà infinita. Una delle figlie, che all’epoca era una bambina, sentendo gli spari si affacciò al balcone e un’altra ragazzina che conosceva e che era per strada le disse “guarda che hanno appena ucciso tuo padre”». La famiglia in questi anni è stata molto riservata, prendendo parte soltanto agli anniversari in questura, «e quindi questo evento in occasione dei 30 anni dall’omicidio è molto importante perché viene alla luce in modo ufficiale la sua storia», precisa ancora.  

La mafia è andata a cercarlo per giustiziarlo in un modo atroce «dandogli anche il colpo di grazia per strada, davanti a tutti», afferma Sicilia. La sua vicenda si intreccia con quella di un’altra vittima di mafia del quartiere dell’Arenella. Il negozio della moglie di Mondo si trova accanto alla sanitaria dove fu uccisa Lia Pipitone, che era anche compagna di scuola, si conoscevano fin da ragazzine. «Quando la uccisero fu proprio Mondo a riconoscere il suo cadavere. Due storie molto dure, che lasciano l’amaro in bocca ma bisogna continuare a raccontarle». Nello spettacolo  si racconta anche delle vicende di Cassarà e Montana: «Ci sforziamo di toglierli dall’ambito del mito e restituirgli la loro umanità – dice Sicilia  – anche attraverso sentimenti normali come la paura e l’amicizia. La cosa più bella in assoluto è che la famiglia mi abbia affidato la memoria di quei momenti  che noi restituiamo al pubblico in un modo particolare come quello della rappresentazione con i pupi antimafia». I 5 dicembre scorso a Mondo è stata dedicata la una sala del Museo dei Pupi antimafia di Caltavuturo.    

Stefania Brusca

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