«Siamo finiti in bocca alla balena senza averci messo nulla di nostro, io questa gara non l’avrei fatta così». Franco Luca, direttore sanitario aziendale dell’Asp di Catania, non vuole correre il rischio di finire nell’elenco dei responsabili di un possibile nuovo spreco della sanità siciliana. «La matassa», come la definisce lui, è quella della gara per la ristorazione sanitaria negli ospedali della provincia di Catania. Aggiudicata all’inizio del 2014 ad un prezzo – 14 euro e 65 centesimi a giornata alimentare per paziente – superiore rispetto a quello di riferimento indicato dall’Autorità di vigilanza, che è di 12 euro e 12 centesimi. Ma ancora bloccata. «Se uno fa una cosa in cui crede, la può giustificare, io me la sono ritrovata dalla precedente gestione», prova a prendere le distanza Luca. Chi invece difende la scelta dell’Azienda sanitaria etnea è il capo del Provveditorato, Salvatore Strano, che elenca tre motivi che avrebbero contribuito a far lievitare il prezzo dei pasti: la modalità di cottura innovativa cook and chill, i costi di ristrutturazione della cucina dell’ospedale di Acireale inclusi nel prezzo della giornata alimentare, e le spese per il trasporto dei cibi nei vari presidi della provincia.
L’anomalia dell’Asp catanese rispetto alle altre aziende siciliane sta all’origine: nel bando di gara – redatto dall’ex commissario Gaetano Sirna, oggi direttore generale a Messina – che parte da una base d’asta apparentemente spropositata, 15 euro e 50 centesimi per giornata alimentare. Ad aggiudicarsi l’appalto la ditta Dussman, colosso nel settore delle pulizie, con un ribasso del 5 per cento. Se venisse assegnata definitivamente, comporterebbe una spesa annuale per la Regione, nonché per tutti i siciliani, di quasi 500mila euro in più rispetto ai costi di riferimento stabiliti dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. In cinque anni la cifra supererebbe i due milioni di euro. La gara, però, rimane bloccata per tutto il 2014.
La nuova dirigenza chiede un parere all’assessorato regionale alla Salute. «Ci hanno risposto che bisognava evitare proroghe, ma che sostanzialmente potevamo decidere da soli», spiegano dai vertici dell’Asp etnea. «Non abbiamo dato nessun assenso perché non è nostro compito – ribatte il dirigente generale Salvatore Sammartano – ma abbiamo verificato che gli atti sono legittimi. La legge nazionale ci dà la possibilità di intervenire solo se il prezzo è superiore del 20 per cento rispetto a quello di riferimento indicato dall’Authority». Considerando solo il prezzo della giornata alimentare, la differenza tra il costo a cui è stato aggiudicato il servizio e quello indicato dall’Autorità è di 20,8 per cento. Ma il gap scende al 14 per cento e torna nei paletti indicati da Sammartano che non consentono alla Regione di intervenire, se si considera il costo complessivo che include il prezzo per la mensa. «Abbiamo preso atto delle giustificazioni dell’azienda – continua il direttore generale dell’assessorato Salute – ci sono dei costi aggiuntivi che comportano la differenza con il prezzo di riferimento dell’Authority, d’altronde quest’ultima invita a una grande cautela perché le cifre sono state fissate con approssimazione».
Ma quali sarebbero i costi aggiuntivi? L’argomento principale è il metodo di cottura, «altamente innovativo» secondo l’Asp di Catania, detto cook and chill. Si tratta di un sistema di produzione e distribuzione dei pasti in cui il cibo, dopo essere cotto, viene sottoposto a raffreddamento rapido tra zero e quattro gradi; segue lo stoccaggio, quindi i pasti vengono rigenerati immediatamente prima del servizio all’utente. «Nel suo prezzario l’Authority non prende in considerazione questa tecnica che è più costosa», precisa Strano, il capo del Provveditorato. «È sicuramente un vantaggio dal punto di vista della sicurezza perché si evita la proliferazione microbica – commenta Aldo Todaro, presidente dell’ordine dei tecnologi alimentari di Sicilia e Sardegna – ma per valutare i costi, andrebbe fatto un conto economico. La tecnologia è più complessa, ma sono tante le variabili da considerare: la resa, lo scarto, l’energia impiegata per il raffreddamento, tutto quello che sta a valle e a monte della cottura».
Il secondo fattore indicato dal Provveditorato come giustificazione dell’aumento del prezzo è il costo della ristrutturazione della cucina di Acireale, centro di produzione dei pasti. «L’ufficio tecnico ha fatto una stima del rifacimento dei locali e la spesa è stata inserita all’interno del prezzo per la giornata alimentare», spiegano all’Asp. Infine, ultima variabile: i costi di logistica per la distribuzione negli altri sei presidi ospedalieri: Giarre, Bronte, Paternò, Biancavilla, Randazzo e Ramacca. Eppure la provincia etnea non è l’unica ad avere strutture sparse sul territorio. L’Asp di Caltanissetta, ad esempio, oltre agli ospedali del capoluogo, vanta Mazzarino, San Cataldo, Mussomeli, Gela e Niscemi. Mentre i centri di cottura sono due: Gela e Mazzarino. Una distanza chilometrica totale che si avvicina a quella tra Acireale e gli altri ospedali del Catanese. Tuttavia la gara all’Asp di Caltanissetta, attualmente in fase di aggiudicazione, partiva da una base d’asta di 10 euro, 5 euro e 50 centesimi in meno rispetto a Catania.
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