I miracoli al contrario del medico per le invalidità «Non può entrare come adesso: lei non cammina»

«L’accompagnamento viene dato solo in due casi: o non ragiona o non cammina». E, per un verso o per l’altro, Antonino Rizzo si sarebbe prodigato per fare i suoi miracoli al contrario. Il reumatologo e medico di Medicina generale è finito in carcere, insieme ad altri 20 indagati, nell’ambito dell’operazione Esculapio che ha scoperchiato un giro di truffe per fare ottenere indennità di accompagnamento o pensioni di invalidità a persone che non ne avrebbero avuto diritto

In ciascuna delle vicende ricostruite compaiono sempre gli stessi protagonisti: un paziente (spesso accompagnato da familiari), un medico che impartisce le istruzioni – Nino Rizzo o Giuseppe Blancato, ritenuto il camice bianco che curò il boss Nitto Santapaola durante la sua latitanza, accusa dalla quale è stato assolto – e uno specialista che fornisce la diagnosi di comodo. «Signora mi ascolti, quel giorno (alla visita all’Asp, ndr) lui deve venire con l’ossigeno e la sedia a rotelle. Ci metta pure un pannolone». Dalle intercettazioni nello studio medico di Rizzo sono stati ricostruiti interi stralci di dialoghi con le istruzioni a pazienti e familiari. «Non è che può entrare come è entrata qua […] Dobbiamo convincere il medico dell’Inps sennò lei i soldi li vede con il binocolo». Il suggerimento principale è andare alla visita col pannolone «perché – spiega il dottor Rizzo – una persona che non cammina non è che se ne può andare ogni cinque minuti a fare pipì». Dopo le istruzioni date in dialetto, il marito si mette anche a fare le prove per aiutare la donna ad alzarsi: «Le mani sotto le ascelle ci deve mettere».

Poche regole ma chiare: sedia a rotelle, pannolone e scarpe basse. Quando una paziente fa riferimento a un plantare, Rizzo la redarguisce subito: «Non ne dobbiamo parlare perché il plantare ce l’ha chi cammina e lei non cammina!». Un’informazione che, fino a quel momento, non era in possesso della donna che nello studio è entrata con le sue gambe e che ha continuato a deambulare anche dopo avere ricevuto l’indennità. Così come gli altri che nei mesi sono stati inquadrati dalle telecamere degli inquirenti mentre facevano la spesa al supermercato o passeggiavano tranquillamente per strada. 

Ci sono pazienti per cui, oltre alle istruzioni di base, ne servono di più specifiche. «Questi occhiali da sole non mi piacciono». Pensando sia una questione di gusti, l’uomo risponde che quei Rayban ce li ha da 40 anni. «Non mi piacciono nel senso che deve venire trascurato, come una persona che non cammina, che sta male». Nella risposta del paziente c’è tutto: «Ma io sto benissimo». Niente profumo, niente deodorante, e nemmeno braccialetti o anelli per presentarsi alla visita in cui saranno presenti anche i medici che dovranno valutare il livello di invalidità. «Venga vestito con una tuta. Una persona che ha il cento per cento (che è quello a cui mirano partendo dall’85 per cento) non è così. Non è che deve fare lo sbrex». 

Nei casi in cui non si può agire sul fisico, Rizzo prova con la mente. A un uomo di 50 anni a cui servono quattro punti in più di invalidità per ottenere la pensione. Dopo avere ascoltato l’elenco delle sue patologie, Rizza nota che «abbiamo un problema, dobbiamo aggiungere un’altra patologia. Ti manca un rene?» Ma l’uomo ce li ha entrambi. E sulla presenza di organi nel corpo è difficile fantasticare. La soluzione è presto detta: «Problema depressivo», a certificarlo ci pensa lo psichiatra Carmelo Zaffora, il direttore del modulo complesso Catania nord del dipartimento di Salute mentale adesso ai domiciliari

«Per avere l’indennità di accompagnamento, le malattie non contano. Conta il soddisfacimento di uno dei due requisiti che prevede la legge: o non cammina o non ragiona». Per un’anziana Rizzo sceglie la seconda opzione. In questo caso, però, va oltre: non impartisce solo le indicazioni ma si sarebbe spinto a indurre le figlie ad aumentare i dosaggi dei medicinali (il Lorazepam, un ansiolitico) per fare arrivare l’anziana disorientata alla visita. «Così la stordiamo un pochettino di più». Una delle figlie, che sembra avere accettato la soluzione, chiede: «Ma poi ce la fa a camminare?». «La trasciniamo, meglio. Un’altra cosa, io gli leverei gli occhiali quel giorno perché secondo me è ulteriormente disorientata, no?». 

Marta Silvestre

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