I giornali berlusconiani attaccano i magistrati siciliani. E pure il Csm non scherza…

Certo che l’Italia è davvero un Paese strano. Nel momento in cui, dopo venti anni di bugie, si comincia a fare luce sul quel terribile periodo stragista che è costato la vita a magistrati e poliziotti siciliani, nel momento in cui si comincia a fare luce sulle collusioni istituzionali, nel momento in cui si comincia a squarciare quel velo di Maya che copre la verità, ecco pronta la campagna di fango contro chi, con coraggio, sta indagando. 

Sorprende e preoccupa il brutale attacco che stamattina i due quotidiani di area berlusconiana, Libero e Il Giornale, hanno sferrato contro i magistrati palermitani.  Il pm, Antonio Ingroia, in particolare.  Che, come sappiamo, sta indagando proprio sul 1992-’93 e sulle trattative Stato-mafia. Il suo nome  viene tirato fuori in relazione alla morte del consigliere del Quirinale, Loris D’Ambrosio.  Lo stesso che era stato intercettato al telefono con l’ex ministro, Nicola Mancino,  il quale chiedeva aiuto al Quirinale per restare fuori dall’inchiesta (guidava il dicastero dell’Interno nel 1992 ed è ora indagato per falsa testimonianza dalla Procura della Repubblica di Palermo).

In maniera neanche troppo velata, si insinua, meschinamente, che Ingroia sia tra i responsabili dell’infarto di D’Ambrosio. Il Giornale, nel dare la notizia del suo decesso, titola a tutta pagina “Condannato a morte”.  E poi giù duro contro i magistrati, contro Ingroia. Dello stesso spessore e  dello stesso tenore le pagine di Libero. Tra le firme degli articoli anti-magistrati siciliani, anche quella di Vittorio Sgarbi.

C’entra qualcosa il fatto che nell’inchiesta sulla trattativa (o sulle trattative) Stato-mafia spunti spesso il nome di Forza Italia e qullo del senatore del Pdl, Marcello Dell’Utri? Pure se fosse, e pur comprendendo le ragioni di una  linea editoriale, il senso dell’etica e della deontologia dovrebbero impedire di oltrepassare certi limiti. Soprattutto quando in ballo ci sono questioni e valori fondamentali per la democrazia.

Bisognerebbe anche ricordare, che la campagna di fango contro i magistrati più coraggiosi, cui furono sottoposti anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è un pessimo segnale e l’inizio del loro isolamento. Il tutto con il dubbio che ci possa anche essere la regia di chi non avrebbe a cuore che la verità venga fuori.

Nel mirino, vedi caso, in questi giorni c’è anche Roberto Scarpinato. Che, dalla Procura di Caltanissetta, ha dato il via alla revisione del processo sulla Strage di via D’Amelio, per cui erano stati condannati degli innocenti.

A scagliarsi contro di lui è il Csm. Che pure con Falcone e Borsellino non era stato tanto amichevole. Scarpinato è colpevole di avere detto, nel giorno della commemorazione di Paolo Borsellino, che “stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere”. Apriti cielo. Il Consiglio superiore della magistratura ha avviato un provvedimento disciplinare nei suoi confronti.

Al suo fianco si è schierata la famiglia di Borsellino, che ha dichiarato di condividere in pieno quanto detto da Scarpinato. Così come aveva condannato la decisione del Presidente della Repubblica, Napolitano, di ricorrere alla Consulta per conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo, in merito alle intercettazioni D’Ambrosio-Mancino.

E’ un caso che si tenti di colpire in tutti i modi in magistrati in prima linea contro l’omertà istituzionale? Davvero si vuole ripiombare nel buio più assoluto?

 

Redazione

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