«Se toglieranno di nuovo i fiori, come penso che faranno, non li rimetteremo una terza volta: la città ha fatto la sua scelta. Chi toglie quei fiori fa un danno alla propria libertà». Così Elena Fava, figlia del giornalista e scrittore Giuseppe, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984, risponde in merito all’ennesima rimozione dei fiori dalla lapide commemorativa nella via che porta il nome di suo padre. «Qualche giorno fa ci siamo accorti che erano stati tolti e li abbiamo rimessi. Ieri sono spariti di nuovo, e questa mattina mia figlia è andata a riportarli, agganciandoli con del fil di ferro. È evidente che qualcuno lì in zona non li vuole, anche perché per metterli c’è bisogno di una scala. Credo che siano i bottegai della zona: non posso lanciare accuse specifiche, ma a ogni commemorazione sembra sempre di vedere sguardi piuttosto infastiditi», commenta Elena Fava.
L’episodio era stato reso noto proprio dalla pagina Facebook della Fondazione Giuseppe Fava di cui Elena è la presidente. «E non si tratta della prima volta – continua -. Tre anni fa i fiori furono tolti poche ore dopo la commemorazione. Un gesto plateale, al quale risposero in tanti portando un fiore. Solo in quell’occasione hanno resistito senza ulteriori rimozioni, appassendo naturalmente».
A essere rimossi però sono stati anche i fiori messi ogni mattina del 5 gennaio dal Comune di Catania. «Non so come funzioni con la procedura di rimozione – prosegue Elena Fava -, ma anni fa il Comune ci fece però sapere della disponibilità di mettere i fiori solo alle 10 del mattino. La mattina però – prosegue la figlia di Pippo Fava -, è per noi un momento familiare, non possiamo dedicarlo alla passerella del Comune. Il pomeriggio andiamo invece a vederci tutti insieme, per vedere dopo anni le facce di chi era giovane e oggi ha invece delle rughe sul viso». Per quanto riguarda la scelta di non rimettere più una eventuale terza volta il mazzo accanto alla lapide che ricorda Giuseppe Fava, Elena commenta: «Quei dieci euro per ricomprare i fiori li useremo per dare un pasto caldo ai più bisognosi, anziché assistere a un altro segno di sfregio. Forse dovrei andare via da Catania, ci ho pensato spesso. Ma, come sempre, non lo farò», conclude.
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