I falsi profeti di Confindustria Sicilia

“Studenti e operai uniti nella lotta”. Chi ha vissuto gli anni Settanta da giovane non dovrebbe avere difficoltà a ricordare questo slogan. Dentro c’era tutta l’Italia di quegli anni: un’Italia dove la forza evocativa delle ideologie faceva breccia nei cuori e nelle menti di tanti ragazzi e ragazze dell’epoca.
Erano gli anni dei grandi sogni. Gli echi del ’68 non si erano ancora spenti. “L’immaginazione al potere”, si ripeteva allora. Si sognava. Ed era bello sognare.
Certo, qualcuno sbandò. Due giorni fa abbiamo ricordato un’opera straordinaria del grandissimo Fabrizio De Andrè: ‘Storia di un impiegato’. Dove l’inimitabile cantautore del nostro Paese, all’inizio degli anni ‘70, descrive, con anticipo sui tempi, la grande tragedia del terrorismo.
Ma di De Andrè ci piace ricordare la sua costante vicinanza agli ultimi, ai diseredati, agli emarginati. Qualche anno fa il presidente degli industriali siciliani, Ivan Lo Bello, in un’intervista, ha detto di essere cresciuto con le canzoni di Fabrizio De Andrè. Magari le avrà ascoltate centinaia di volte. Ma, a giudicare da quello che dice in questi giorni, dimostra di non averle capite molto bene.
Di Lo Bello e della sua ‘pregiatissima’ organizzazione imprenditoriale (che il nostro bravo Riccardo Gueci ha già ‘dipinto’ per quella che è: un’organizzazione dove non è facile trovare industriali veri) possiamo anche apprezzare la ‘premura’ con la quale ci avvertono che dietro queste manifestazioni di piazza ci potrebbe anche essere la criminalità organizzata. Non vorremmo, però – come ha scritto ieri, sempre sul nostro giornale, Loris Sanlorenzo, che questa sia la scusa, da consegnare alle tante autorità, per reprimere con la violenza le manifestazioni di piazza.
A noi – che comunque non siamo intelligenti e lungimiranti come Lo Bello e i suoi ‘sodali’ di Confindustria Sicilia – le canzoni di De Andrè hanno insegnato altri valori. A cominciare dal tentativo, non sempre facile, di capire gli altri. Soprattutto quelli che soffrono. E che si battono per la sopravvivenza. Mentre il pessimo sillogismo di Lo Bello e di Confindustria potrebbe essere di tutt’altra musica: noi siamo gli antimafiosi di Confindustria Sicilia, nel movimento di protesta ci potrebbe essere la mafia, dunque per colpire la mafia bisogna ‘fare chiarezza’ nel movimento di protesta. Magari intervenendo con le maniere forti, come ha sollecitato un altro ‘scienziato’ di Confindustria, questa volta di Palermo, Alessandro Albanese.
E’ inutile girarci attorno: a parte l’antimafia – certe volte giusta e utile, altre volte retorica e di maniera – i signori di Confindustria non hanno perso il vizio di ergersi a ‘capi’ e ‘capetti’: qui per paventare pericoli di mafia tra chi manifesta perché ha fame, lì per sollecitare le ‘maniere forti’. Che dire? Due sole parole: semplicemente ridicoli.
Noi ci auguriamo di sbagliare. Però è fuor di dubbio che le parole pronunciate ieri dal presidente degli industriali siciliani – non a caso sulle pagine del Giornale di Sicilia – suonano come una sorta di anticipata giustificazione là dove ‘qualcuno’ dovesse fare degenerare la protesta nella violenza di piazza. Se ciò dovesse avvenire, la colpa – ovviamente – sarà della mafia.
Giunti a questo punto, è arrivato il momento di dire che l’idea di ‘ingabbiare’ la protesta sociale siciliana nella retorica dell’antimafia non ci pace affatto. Gli agricoltori non si possono lamentare e non debbono protestare in piazza perché se lo fanno c’è dietro la mafia: i pescatori ridotti alla fame non debbono gridare perché sennò vince la mafia: i lavoratori edili disoccupati debbono stare zitti perché altrimenti sono mafiosi pure loro e via continuando. Signori, ve la possiamo dire una cosa? Ci siamo rotti le scatole!
La migliore risposta la stanno dando i giovani studenti della Sicilia, che stanno finalmente scendendo per le vie di città e paesi della nostra Isola non soltanto per appoggiare il Movimento dei Forconi, gli agricoltori, i pescatori e tutti i lavoratori in lotta, ma per riprendersi il loro futuro.
Presidente Lombardo, se ancora non l’avesse capito è arrivato il momento di levare le tende. Se ne torni nella sua Grammichele tra la sue galline. Perché il primo responsabile dello sfascio sociale ed economico della Sicilia di oggi è proprio il suo inutile governo. O dobbiamo dimenticare il fatto che, a furia di cambiare assessori e dirigenti generali – peraltro, scadenti gli uni e altrettanto scadenti gli altri – non è riuscito a utilizzare i 10 miliardi di euro di fondi europei? Ha avuto tre anni di tempo per utilizzarli. E non è stato in grado di farlo. Per un motivo semplice: perché lei e il suo governo siete politicamente incapaci. In una regione come la Sicilia, non utilizzare i fondi europei, è un delitto. Quindi dovete andare a casa, lei e il suo governo. Dovete farlo al più presto. Per sensibilità sociale.
Quella sensibilità sociale che non si riscontra, del resto, nemmeno nell’analisi del presidente degli industriali siciliani. Del resto – tornando ai Soloni di Confindustria Sicilia – nella tormentata vicenda che ha portato alla chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese non ci sembra che Lo Bello & compagni abbiamo detto cose memorabili. Soprattutto a difesa di chi ha perso il posto di lavoro. A differenza del giornale della Confindustria – Il Sole 24 Ore – che invece di dubbi sull’operazione Dr Motor ne ha espressi tanti. I signori di Dr Motor, per la cronaca, sono quelli che dovrebbero rilanciare – con il denaro pubblico, ovviamente – la produzione di automobili (a Termini Imerese o in Molise? non l’abbiamo ancora capito).
Si sa, fare la morale alla povera gente – soprattutto quando, come nel caso di Lo Bello e di Confindustria Sicilia – si ha la pancia piena, è facile. Fare, invece, il presidente degli industriali e difendere i reali interessi della Sicilia – come avrebbero dovuto fare i signori di Confindustria Sicilia nella vertenza Fiat di Termini Imerese – è un po’ più difficile. Mettersi contro la Fiat, per un industriale della nostra terra – una terra che produce ‘ascari’ in quantità industriale, soprattutto tra la ‘presunta’ classe dirigente – non deve essere comodo. Molto più facile – e molto più comodo – gettare fango e discredito su chi combatte per difendere il proprio pane, come nel caso dei piccoli agricoltori e dei pescatori siciliani.
E bravo il presidente Lo Bello: forte con i deboli e debole con i forti. Forse farebbe bene a riascoltare qualche canzone di De Andrè. Magari “La città vecchia”.

 

Giulio Ambrosetti

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