I colossi industriali contro il piano regionale dell’aria «Basato su dati vecchi, possiamo chiudere impianti»

Si continuano a registrare le reazioni dei colossi economici contro il piano dell’aria della Regione. È dei giorni scorsi il decreto con cui il Tar di Palermo ha accolto l’istanza con cui Italcementi ha chiesto ai giudici amministrativi di superare i limiti dimensionali del ricorso per motivi aggiunti. Sottolineando che «la controversia presenta questioni tecniche, giuridiche e di fatto particolarmente complesse, oltre ad attenere a interessi di particolare rilievo economico». Tecnicismo che rende l’idea di come il documento approvato dalla giunta Musumeci nel 2018 abbia creato più di uno scompenso tra le grandi aziende che gestiscono stabilimenti industriali in Sicilia. 

L’azione intrapresa dalla società bergamasca, che proprio nei giorni scorsi ha visto riprendere la conferenza dei servizi per il rinnovo dell’Aia scaduta nel 2014, fa il paio con quella della Raffineria di Milazzo spa, che dal primo momento non ha mancato di sottolineare come le nuove prescrizioni sul contenimento degli inquinanti nell’atmosfera rischi di minacciare il futuro degli impianti sul litorale tirrenico. Che tradotto significa mettere in discussione i livelli occupazionali finora garantiti. Nel mirino degli industriali ci sono i limiti previsti dal piano e la prescrizione secondo cui le autorizzazioni integrate ambientali vanno aggiornate tenendo conto dei nuovi parametri riguardanti le emissioni nell’aria. Un impegno che fissa nel 2027 il raggiungimento delle soglie minime, ma che ha a gennaio 2022 il traguardo intemedio: entro quella data, infatti, le società dovrebbero adeguarsi in maniera tale da dimezzare lo scarto.

Indirizzi perentorio che però già da tempo i colossi dichiarano di non potere garantire. Per una serie di motivi che, a loro dire, poco avrebbero a che fare con questioni di volontà e molto dipenderebbero da un piano dell’aria nato già vecchio. «Mentre le misure a carico degli enti pubblici risultano avere carattere sostanzialmente solo programmatico, quelle a carico di (pochi) impianti industriali pongono a carico di essi oneri sproporzionatamente gravosi ed ingiustificati», si legge nel ricorso della Raffineria. Tra le critiche c’è quella di non avere garantito ai privati un’adeguata partecipazione al processo di approvazione del documento, in quanto sul sito dell’assessorato al Territorio non sarebbe stata data sufficiente visibilità. «Potrebbe tranquillamente dirsi, essere stato il piano ben nascosto».

Da un punto di vista prettamente tecnico, secondo la società mamertina i dati su cui l’Arpa si è basata sono «quelli presenti nell’inventario regionale con aggiornamenti fino all’anno 2012 e, quindi, ormai certamente obsoleti». Un ultimo aggiornamento che non solo sarebbe datato ma a sua volta sarebbe frutto di stime e simulazioni prodotte sulla scorta dei rilevamenti fatti cinque anni prima. Tali carenze per i legali della Raffineria sarebbero fondamentali, in quanto molti degli impianti industriali presenti nell’isola hanno ottenuto le Aia negli anni successivi. Autorizzazioni che già prevedevano il rispetto di «limiti emissivi ben più severi del passato e con l’applicazione delle sopravvenute Bat (le migliori tecniche a disposizione, ndr) di settore». A pagina 17 del ricorso, la società fa presente che imporre il riesame delle Aia «indurrebbe grave stato di incertezza» e ciò rischierebbe di «impedire investimenti industriali significativi sul territorio o di condurre nel tempo alla chiusura impianti».

Se a queste avvisaglie già nelle settimane il sindaco di Milazzo Giovanni Formica ha risposto inviando una lettera al presidente della Regione Nello Musumeci, comunicando la preoccupazione delle oltre duemila famiglie il cui reddito è legato alle attività della raffineria, a contrapporsi in maniera netta sono i comitati e associazioni ambientaliste. «La Ram (la Raffineria, ndr) non vuole investire per salvaguardare lavoro, salute e ambiente – si legge in una nota -. I dirigenti della società continuano a tirare in ballo, in modo strumentale, il piano di tutela della qualità dell’aria approvato dalla Regione Siciliana. È chiara la loro intenzione di non investire». A riguardo gli ambientalisti si soffermano sul dato economico. «Le altre raffinerie siciliane – prosegue la nota – nei ricorsi presentati al Tar quantificano gli investimenti necessari per adeguarsi al piano in 150-180 milioni di euro (da spalmare fino al 2027), smentendo di fatto la tesi dell’inapplicabilità del Piano. La realtà è che le raffinerie vogliono continuare a inquinare la nostra terra, fare profitti sulla pelle dei siciliani e – concludono – distruggere il clima».

Simone Olivelli

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