I capi carismatici: perché Berlusconi vinse nel 1994

di Lorenzo Ambrosetti

Dalla discesa in campo di Berlusconi, nel 1994, ad oggi si è evidenziato in Italia un fenomeno politico che oggi stenta a scomparire: l’ascesa dei capi carismatici.

Oltre a Berlusconi, Bossi, Di Pietro ed oggi fondamentalmente Grillo. Il carisma è una forma particolare di potere per cui l’autorità di un capo, considerato come carismatico, non è fondata sul carattere sacro di una tradizione o sulla legalità e razionalità di una funzione, bensì su un dono, cioè una capacità che essi possiedono in modo straordinario.

Coloro che riconoscono questo tipo di dono riconoscono anche il proprio dovere di seguire il capo carismatico, cui obbediscono, secondo le regole che egli detta, in forza della credibilità propria del carisma stesso e non in virtù di costrizioni o calcoli.

La genesi del fenomeno viene posta in correlazione con paure collettive di interi popoli, stati di insicurezza radicale e di ansia generalizzata, in risposta ai quali il capo carismatico è visto come il Salvatore. Egli viene colto come il portatore della rassicurazione di fondo, della speranza, della fine della sofferenza.

Ciò che fece vincere le elezioni a Berlusconi nel 1994, non fu comunque una ansia generalizzata di fondo o una paura del domani, ma quasi una attesa messianica per colui che la gente riteneva una persona vincente, che avrebbe vinto le diatribe di partito, ed avrebbe salvato l’Italia.

E’ chiaro, e ciò vale naturalmente anche per Bossi e Di Pietro, che la fiducia che la gente ripone nel capo carismatico è proporzionale alla sua ignoranza.

Nel caso di Berlusconi si è poi assistito ad un vero fenomeno non esattamente democratico legato al possesso ed al monopolio di reti televisive che hanno propagandato, e continuano ancora oggi a propagandare, messaggi legati non ai valori ma a scelte di fondo legate al successo personale e all’arricchimento di cui il capo carismatico ne è il principale emblema.

Questo fenomeno assolutamente deprecabile va messo in diretto collegamento con la connivenza del Partito democratico, che ha consentito a Berlusconi di continuare ad agire come capo carismatico a mezzo del possesso delle sue televisioni, senza frapporre significativi ostacoli a questa trionfante ascesa mediatica.

Chiaramente, il Partito democratico ha evidentemente guadagnato da questa connivenza in termini di incarichi di sottogoverno, come quello che ricopre attualmente Massimo D’Alema, in una gestione del potere assolutamente spartitoria e lottizzatoria che si presume continui nonostante la ascesa di Grillo.

Quanto a quest’ultimo, nonostante l’eterogeneità dei programmi e la mancanza di chiarezza su scelte di fondo fondamentali per un Paese democratico, la sua immagine di capo carismatico si fonda essenzialmente (come fu già per Di Pietro ), sul malcontento generale che vede una crisi profonda dei Partiti tradizionali e la grande voglia di cambiamenti radicali che c’è nella gente.

Ma, a parte Grillo, si può dire che la fiducia nei capi carismatici in Italia si sia assopita?

Il popolo italiano, che è tra quelli che legge meno in tutta Europa, va continuamente (del resto coerentemente con la sua storia, anche meno recente: vedi la parabola di Mussolini ), alla ricerca del capo carismatico che possa con la bacchetta magica risolvere tutti i problemi del Paese.

E’, si può dire, un fenomeno tutto italiano, legato alla grande arretratezza culturale dell’Italia, ed ai mass media che continuano imperterriti a propagandare immagini di uomini di successo e bellissimi, mentre il Paese sta morendo di fame.

Ce la faremo a mettere da parte la fama dei capi carismatici? E’ un problema che rimane quanto mai aperto e insoluto.

Redazione

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