«Ho avuto il Covid ma nessuno ha voluto farmi il tampone» Tra malesseri che rimangono e richieste d’aiuto ignorate

«Devono respingere ogni richiesta d’aiuto. Questo mi hanno spiegato quando finalmente qualcuno mi ha visitata. Oltre al fatto che io il Coronavirus l’ho avuto davvero». A dire senza troppi giri queste cose a Cinzia Ciprì, palermitana che da alcuni mesi vive a Bordeaux, è un medico di Agen, in Francia. Quella febbre alta che non l’ha lasciata per settimane, che ancora a tratti affiora, e quella tosse che la svegliava in piena notte costringendola a succhiare letteralmente l’aria non sono state solo delle suggestioni, delle paure immotivate di aver contratto il virus. Quei sintomi erano, e alcuni in parte lo sono ancora, reali. Solo che adesso, dopo quasi un mese di malessere, di farmaci e di richieste d’aiuto rimaste inevase, a dirlo ufficialmente è la visita di un medico. Che le ha confermato, sulla base di quanto manifestato fino a poche settimane fa e di quanto manifesta ancora adesso, che lei ha contratto il Covid-19. Ecco perché stava in quel modo, ecco perché sta ancora malissimo. 

Anche questa volta, però, nessun tampone. Il medico non sembra nemmeno stupirsi che nessuno fino a quel momento abbia fatto quel test a Cinzia, malgrado le sue preoccupanti condizioni di salute. Perché lì la prassi sembra questa. «Ha ribadito anche lui che il tampone non lo fanno, non era per niente stupito di tutta la vicenda e nemmeno dell’evoluzione della malattia», racconta Cinzia. Intanto, tampone a parte, anche ottenere finalmente quella visita non è affatto semplice, anzi. «Il merito è di una connazionale che vive anche lei in Francia, che a sua volta non è stata bene e ancora non si è ripresa – spiega -, è stata lei che alla fine è riuscita a farci aiutare. Ha chiamato il console di Metz, che a sua volta ha contattato quello di Marsiglia, che ha chiamato me e si è sbloccata la situazione. Solo così, grazie all’interesse della connazionale e a questo giro si è arrivati a me. Il console di Marsiglia mi ha detto che ha risposto a qualcosa come 10mila telefonate in una settimana e mentre era al telefono con me, sentivo squillare un altro telefono in sottofondo e a gestire tutto lì c’era soltanto lui. Pare che il mio non sia l’unico caso di questo genere che ha ascoltato».

La situazione, insomma, non sembra farsi mai semplice. Neppure quando Cinzia trova finalmente qualcuno disposto ad ascoltarla. «Poche sere fa ho scritto a questa connazionale, questa amica, dicendole che mi girava la testa, che mi sentivo molto debole e avevo sempre questa febbricola – torna a dire Cinzia -. Lei a quel punto ha deciso di chiamare il console di Metz, appunto, innescando tutto questo giro. Fino al console di Marsiglia, che mi ha chiamata dal suo telefono privato, rassicurandomi che se il medico avesse fatto questioni per visitarmi, avrei dovuto chiamarlo dall’ufficio di quest’ultimo perché sarebbero intervenuti loro come consolato». La disponibilità, per la prima volta, appare massima nei confronti di quello che sta accadendo a Cinzia. E anche il medico che la visita non si tira indietro e non si nega. «Il dottore è stato molto lucido e ha deciso di visitarmi lo stesso con tutte le precauzioni del caso: ha messo i guanti, ha cambiato la mascherina, grembiule, e poi ha iniziato a visitarmi, ha ascoltato delle mie patologie, si è fatto spiegare come si è evoluta la malattia e cosa avevo ancora – racconta -. Ha confermato che non c’è alcun dubbio sul fatto che fosse coronavirus, anche per l’evoluzione avuta, ma che comunque significa che ho superato la fase critica e questa è la convalescenza, durante la quale sono probabilmente ancora infettiva, quindi che devo prestare molta attenzione».

Cinzia, infatti, non si è ancora ripresa e molti sono i sintomi che ancora l’accompagnano. Il medico, intanto, le ha prescritto una serie di altri esami e di test a cui dovrà sottoporsi per chiarire il suo quadro clinico. «Il console che per primo mi ha finalmente ascoltata – torna a dire – mi ha dato tutto il sostegno che ha potuto, si capisce che anche lui è molto provato in questo momento. Mi ha spiegato che in estrema ratio avrebbe cercato di farmi rientrare in Italia, ma io non avrei saputo dove andare, non ho più una casa lì. E poi, appunto, ora che il dottore ha detto che sono ancora infettiva, meglio evitare qualsiasi cosa. Mi ha fatto intuire che qui in Francia i dati forniti non sarebbero corretti e che il numero per l’emergenza, il 15, avrebbe come disposizione di respingere ogni richiesta di aiuto, così come i pronto soccorso. I tamponi vengono fatti esclusivamente a chi arriva in ospedale moribondo. Io sto ancora male, ma non sono più in pericolo. Ormai il peggio è passato e adesso devo solo pensare a rimettermi in forze e riprendermi».

Silvia Buffa

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