Lo chiamano «cavallo di ritorno». In dialetto, «‘u tornu». È quando ti rubano la macchina e, tramite amici di amici, qualcuno si mette in contatto con te e ti chiede una cifra per riscattare la vettura. Lunedì hanno arrestato due persone, a Misterbianco. Le hanno accusate di tentata estorsione e ricettazione, perché avrebbero chiesto un riscatto di 750 euro per un’automobile. Uno dei due si chiama Valerio Magni, è un pregiudicato, ha compiuto 25 anni da poco. Il primo giorno delle scuole medie, era seduto nel banco davanti al mio, il penultimo a sinistra della classe I B. Lui non è neanche il primo dei ragazzini con cui andavo a scuola a essere arrestato. Di uno mi è arrivata la voce, l’altro l’ho visto in televisione: io andavo ancora alle superiori, quando mi sono ritrovata la sua foto segnaletica passare sullo schermo, mentre il cronista annunciava che era finito dietro le sbarre l’ennesimo piccolo spacciatore. Andavamo tutti alla scuola media statale Federico De Roberto, oggi istituto comprensivo, in via Confalonieri, a Catania. Raccoglieva, e raccoglie tutt’ora, buona parte degli adolescenti di Nesima e Cibali.
Valerio in questi anni l’ho incontrato spesso. Per un periodo ha vissuto a due passi da casa mia. Una volta, alcuni mesi fa, l’ho incrociato mentre ero in macchina con mia madre. Lui era col motorino, mi ha gridato un saluto sorridente da una parte all’altra della strada. L’ho rivisto alcuni giorni fa, era ancora sul suo motorino grigio metallizzato. Alle medie c’è stato un periodo in cui studiavamo insieme, veniva a casa mia a fare i compiti di Italiano. Glielo dicevano tutti che era intelligente, che era sveglio. Era simpatico, animava la classe. Vivace, certo. Della sua famiglia non si sapeva molto. Dicevano che a casa non aveva una situazione facile.
Quando si è diffusa la notizia del suo arresto, qualcuno che conosco e che conosce anche lui ha detto: «Era segnato». Perché a quei tempi, più di dieci anni fa, c’erano a scuola quelli di cui i genitori degli altri già sapevano che non avrebbero avuto un grande avvenire. Che sarebbero finiti «a mala strada». Spesso dipendeva dalla famiglia che avevano alle spalle. Una sorta di selezione lombrosiana dei tempi moderni: come se l’illegalità si tramandasse di padre in figlio, come se fosse un destino che non potevi cambiare. Come se la scuola e i servizi sociali non potessero niente contro quella strada che altri avevano tracciato per te, tredicenne un po’ vivace che da grande voleva fare il cuoco. O per Laura, il nome è di fantasia, compagna di una classe del piano di sotto, quindicenne quando 15 anni li avevo anche io. L’ho incontrata in una piazza all’uscita da scuola, io avevo lo zaino e lei aveva una borsa da bebè. Stava seduta dietro a una bancarella di libri usati, con un uomo al suo fianco e un bimbo in braccio: «Me ne sono fuiuta», mi ha detto.
Nell’VIII municipalità, quella su cui insiste l’istituto comprensivo De Roberto, i dati sulla dispersione scolastica forniti dall’ufficio provinciale di competenza arrivano fino all’anno scolastico 2012/13. I numeri dicono che a essersi iscritti all’istruzione superiore di primo grado, due anni fa, sono stati 1.176 studenti. Di questi, 24 si sono assentati spesso, tre hanno abbandonato la scuola, 20 hanno dichiarato che avrebbero proseguito i loro studi in casa. In 53 sul totale, cioè il 4,65 per cento, sono stati segnalati ai servizi sociali. Nel 2011 ad abbandonare la scuola alle medie, nella zona tra San Leone e il viale Mario Rapisardi, sono stati in 16; 17 nel 2010; 23 nel 2009. Negli ultimi sei anni, le percentuali di studenti segnalati ai servizi sociali non è mai scesa sotto il quattro per cento.
A voler allargare il campo alla VII municipalità, quella limitrofa, con Monte Po e Nesima, le cifre sono simili: a fronte di 862 studenti iscritti alle medie nell’anno scolastico 2012/2013, tre hanno abbandonato, 20 si sono affidati all’istruzione parentale e 53, cioè il 6,43 per cento, sono stati segnalati ai servizi sociali. Nel 2011 gli abbandoni erano stati dieci, nel 2010 13. L’annus horribilis, però, per quella zona di città, è stato il 2007/2008: su 958 studenti iscritti alle scuole medie, la situazione di ben 69 di loro, il 7,55 per cento, è stata giudicata a rischio dai docenti.
A questi numeri si associano quelli dell’Istat sulla disoccupazione nel Mezzogiorno d’Italia. Secondo le rilevazioni di giugno 2014 dell’istituto di statistica, nel Meridione i disoccupati, dai 15 anni di età, sono un milione e 495mila. A Catania, nel 2013, non avevano un lavoro il 40 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni. A voler guardare il dato complessivo della Sicilia, la percentuale della disoccupazione sale al 46 per cento. E gli altri? Solo il 17,9 per cento dei catanesi under 30 risulta regolarmente assunto. Molti studiano, molti altri lavorano in nero e sfuggono a qualunque rilevazione statistica.
Anni fa, nel quartiere Antico corso, ho incontrato Maicol e Francesco. All’epoca avevano 12 e otto anni, oggi sono nel pieno della loro adolescenza. Maicol voleva fare il calciatore e Francesco gli andava dietro. Giravano per via Purità e le traverse limitrofe con i loro pantaloncini, le scarpe da calcetto e un pallone di cuoio tutto rovinato. Quando il centro popolare Experia c’era, andavano a giocare lì. Poi l’Experia l’hanno sgomberato, e loro sono rimasti a giocare in mezzo alla strada. Alla domanda «Vai a scuola?», Maicol aveva risposto decisissimo: «Sì, le professoresse mi hanno detto che se voglio fare il calciatore devo studiare, e io sono già alla prima media». Lo aveva detto con orgoglio. E Francesco un po’ lo invidiava. A lui, invece, toccava svegliarsi all’alba per andare a vendere la frutta con la lapa del compagno di sua madre.
La faccia della medaglia è per Valerio, Laura e Francesco uguale: la scuola e i servizi sociali in breve, lo Stato non sono riusciti a tenerseli stretti. Hanno storie del tutto diverse. Eppure, ciascuna a modo suo, sono rimaste tutte invisibili. Ricordate, loro malgrado, da un mezzo sorriso su una foto segnaletica.
[Foto di Geraint Rowland]
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