Ci sono momenti in cui di scrivere non va proprio. È uno di questi. Dopo quanto accaduto con l’inenarrabile attacco di Hamas a Israele e le atrocità commesse nei kibbutz tutto il resto diventa un mormorìo di sottofondo, e anche fatti che in altri momenti ci avrebbero anche esaltato per la possibilità di ricamarci sopra grazie alla scrittura diventano invece trasparenti.
Anche i commenti da repellente tifoseria diventano fastidiosi. La questione è di quella da tagliare il capello in quattro, non da commentare con tweet o slogan. E proprio quando la scrittura come espressione articolata del pensiero diventerebbe forse l’unica cosa a darci una qualche speranza e una qualche motivazione essa invece si ritrae, si rannicchia come un animale ferito.
La confusione parte sempre e anche dalla parola, perché è lì che comincia tutto… Quello che so è che Palestina e Hamas sono due cose diverse, diversissime, come so che ci sono anche israeliani da tempo preoccupati per la politica di Netanyhau. Ma di fronte all’olocausto ogni distinguo, ogni tentativo di ragionamento si spegne sul nascere.
La prevalenza della realtà sulla parola si manifesta in questi casi come la vera Apocalisse. La Scrittura, il cui compito è sopraffare la realtà in nome della verità, viene invece sopraffata. E tace.
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