«Tornare in Sierra Leone è nei miei progetti, anche se per un periodo limitato. Voglio completare quello che avevo cominciato». Fabrizio Pulvirenti – il medico contagiato dall’ebola mentre prestava servizio volontario nel centro di Emergency a Lakkra – è stato dimesso oggi dall’istituto Spallanzani dov’era ricoverato dallo scorso 25 novembre. L’esperto in infettivologia, dipendente dell’ospedale Umberto I di Enna, ha preso parte alla conferenza stampa convocata per l’occasione. Fino a oggi il suo nome non era stato ufficialmente diffuso. «Dopo i primi giorni durante i quali cercavo di analizzare ogni sintomo con occhio scientifico, c’è stato un momento in cui la luce della coscienza si è spenta», confessa. «I buoni propositi di mantenere la razionalità sono andati a farsi benedire». Ma, come sottolineato nella sua lettera diffusa il 26 dicembre, «non sono un untore né un eroe; sono stato meno fortunato dei miei colleghi perché mi sono contagiato». Complesso per lui ritrovare il momento in cui è avvenuto il contagio: «È impossibile ricostruirlo. Sono perfettamente cosciente di aver seguito le procedure, ma risalire al momento è impossibile».
«Fabrizio, l’avventura è giunta al termine», afferma con un sorriso un membro dell’istituto mentre il direttore della struttura romana dichiara ufficialmente la guarigione. Forte l’orgoglio dello staff che per quasi 40 giorni ha seguito il pazienze siciliano. «Sono stato curato non solo sotto il profilo professionale, si è creato un rapporto amichevole, di affetto», spiega Pulvirenti. Alla conferenza stampa hanno partecipato, oltre ai vertici dell’istituto romano, anche i membri dell’equipe che ha seguito il medico siciliano, Cecilia Strada, presidente di Emergency, Gino Strada in collegamento dall’Africa e il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. Tutti concordi nel riconoscere il grande impegno profuso per la buona risoluzione della vicenda che fin dall’inizio è sembrata complessa. Emanuele Nicastri, uno dei medici che ha curato Fabrizio Pulvirenti, ha descritto i giorni peggiori vissuti durante la convalescenza. Ha ricordato «due momenti di gravità: all’inizio, al secondo giorno, e poi dopo quanto l’abbiamo ricoverato in rianimazione. È stata dura», sospira.
Così come il sangue di altri pazienti guariti ha fatto parte della terapia utilizzata per la sua guarigione, anche la storia clinica del paziente siciliano servirà a dare un aiuto alla ricerca sulle cure di massa per l’ebola. «Un minimo di contributo alla comunità scientifica internazionale è stato dato. Il caso in più arricchisce sempre la statistica e la conoscenza della malattia». Adesso il medico rientrerà a casa, in Sicilia, dove inizierà una terapia specifica per recuperare lo stato di salute perso dal momento del contagio.
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