«Salvini si avvantaggiava politicamente del blocco delle navi. Questo lo sappiamo». Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio una stoccata all’ex alleato, poi avversario e adesso nuovamente compagno di maggioranza, l’ha comunque riservata. Pur precisando, davanti al giudice Nunzio Sarpietro, di non volere fare polemica, limitandosi a una considerazione politica. Il passaggio in questione è contenuto nel verbale d’interrogatorio dell’udienza preliminare del 19 febbraio scorso per il caso della nave della Guardia costiera Bruno Gregoretti. Di Maio, insieme alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, è stato sentito come testimone nella vicenda che vede l’ex titolare del Viminale Matteo Salvini accusato di sequestro di persona e abuso d’ufficio. Sotto la lente d’ingrandimento i fatti di luglio 2019 al largo delle coste siciliane quando, per cinque giorni, venne impedito a 131 migranti di sbarcare.
La prossima udienza, pure questa a porte chiuse, si terrà venerdì nell’aula due del penitenziario di Bicocca, quando verrà sentito l’ambasciatore a Bruxelles Maurizio Massari. Poi, a meno di sorprese, si andrà verso i titoli di coda. Due gli esiti possibili: rinvio a giudizio o non luogo a procedere, come già chiesto a fine 2020 dalla procura di Catania. Nel corso dell’udienza di metà febbraio, si è parlato della linea dei governi Conte sul tema immigrazione ma anche di tutta la procedura che ruota attorno all’acronimo Pos (Place of safety), cioè il luogo sicuro in cui fare sbarcare i migranti dopo i salvataggi in mare. Ci sono poi le differenze con il caso della nave Ubaldo Diciotti, rimasta nell’estate 2018 per cinque giorni a largo del molo di Levante, a Catania.
Nel corso dell’interrogatorio, il giudice Sarpietro non fa mistero di volere capire, attraverso le sue domande, se ci sia stata continuità sul tema della gestione degli sbarchi dei migranti tra il primo governo Conte, con l’alleanza gialloverde e il pugno duro di Salvini al Viminale, e il Conte II. Il termine più ricorrente, anche nelle risposte, è «redistribuzione». Cioè la procedura europea che, a partire dall’accordo di Malta di settembre 2019, prevede l’introduzione di un meccanismo automatico per il ricollocamento dei migranti che arrivano in Italia. Prima l’accordo tra il nostro Paese e il resto degli Stati europei sarebbe stato trovato in maniera «manuale», caso per caso perché «ogni sbarco ha le sue complessità». Con la nave Diciotti l’allora ministro degli Esteri Enzo Moavero per esempio si sarebbe attivato in prima persona, chiedendo all’Albania di ospitare alcuni migranti. Successivamente la redistribuzione sarebbe «diventata una procedura consolidata», dice Di Maio. A occuparsi del Pos, in un passaggio ribadito da tutti i testimoni, è sempre il ministro dell’Interno e senza l’interlocuzione con il presidente del Consiglio.
L’allora vicepremier sarebbe entrato in scena soltanto in un momento successivo allo stop agli sbarchi imposti da Salvini. Ribadendo di venire a conoscenza delle decisioni dell’allora ministro o attraverso le notizie date dai media o tramite qualche cinguettio social del leader del Carroccio. A quel punto si sarebbe entrati «nel momento politico a tre»: i due vicepremier, Salvini e Di Maio, e Giuseppe Conte. Da un lato la Lega, pienamente d’accordo a bloccare gli arrivi di migranti, dall’altro il Movimento 5 stelle che avrebbe spinto su Di Maio per fare scendere le persone che si trovavano a bordo. In mezzo ai due fuochi l’allora presidente del Consiglio nelle vesti di mediatore per trovare il «compromesso». Sul punto, il giudice Sarpietro sintetizza un dubbio legittimo: «Ma perché Salvini doveva negare il porto sicuro se la redistribuzione era ormai una procedura consolidata?». Ed è in questo passaggio che Di Maio replica citando «il vantaggio politico legato al blocco delle navi».
Nell’udienza di metà febbraio, non sono mancati i momenti di tensione. Colpa di alcune dichiarazioni, pronunciate prima dell’udienza davanti alle telecamere, dall’avvocato Corrado Giuliano. Deciso a «vigilare» sulla terzietà del gup Sarpietro dopo le uscite a margine dell’udienza del 28 gennaio a Roma, quando venne sentito proprio l’ex presidente del Consiglio Conte e sulla cui testimonianza il togato si espresse favorevolmente. Parlare di ricusazione? Una «provocazione» secondo l’avvocata Giulia Bongiorno, ex ministra del governo gialloverde e adesso legale di Salvini. «Sono assolutamente sereno, imparziale e tranquillo e non mi sento provocato da nessuno. Spero che questo vi sia chiaro sotto ogni profilo», ha replicato Sarpietro. Il giudice venerdì sarà chiamato a decidere anche sulla richiesta dell’avvocato Giuliano di sentire come testimone informato sui fatti l’ex magistrato Luca Palamara. Gli altri avvocati delle parti civili, così come la legale di Salvini, si sono rimessi alla valutazione del giudice. Mentre a opporsi radicalmente è stata la procura, rappresentata in aula dal magistrato Andrea Bonomo.
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