Grazie a Libero Grassi la Sicilia è cambiata in meglio. La politica, no. Basti pensare al fallimento della Regione, al precariato e al trionfo dell’illegalità amministrativa

NEL GIORNO IN CUI RICORDIAMO UN VERO EROE DELL’ANTIMAFIA vorremmo dire anche noi qualche parola. Dicendo subito che il diluvio di retorica che accompagna questo anniversario – al pari di altri anniversari dove ricordiamo le persone serie che hanno pagato con la propria vita il loro “No” alla mafia – non ci convince affatto.

Come hanno detto altri meglio di noi, Libero Grassi, solo nella sua solitudine, ebbe il coraggio di dire “no” alla mafia del ‘pizzo’. Erano gli anni delle scorte. Ma lui non ebbe la scorta. Non ebbe attenzioni da parte della politica. E, se non ricordiamo male, venne guardato con un certo fastidio dA alcuni suoi colleghi imprenditori. Acqua passata.

Da allora ad oggi la società siciliana è cambiata in meglio. Ma non è cambiata la mafia, che è rimasta tale e quale: con i suoi misteri, con le sue connivenze (si pensi alle difficoltà che i magistrati stanno incontrando nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia, intercettazioni distrutte comprese) e con le quarantennali latitanze che solo l’Italia concede ai propri mafiosi.

Se la mafia è rimasta tale e quale, la politica siciliana è cambiata in peggio. Non a caso la Regione e tanti Comuni siciliani sono sull’orlo del fallimento.

Ricordare Libero Grassi e gli altri eroi – magistrati, uomini delle forze dell’ordine e uomini dello Stato, quello vero però, non quello che trattava con la mafia – morti per mano mafiosa, senza guardare alla società siciliana nel suo complesso, è un errore.

Abbiamo detto che la società siciliana è cambiata in meglio. Ci sono state grandi e positive esperienze di antiracket. Ed è merito della società siciliana – magistrati, forze dell’ordine, cittadini comuni, giovani e anche imprenditori coraggiosi – se oggi assistiamo a una certa ribellino al ‘pizzo’.

Ma i frutti di questa lunga stagione antimafia e antiracket non sono tutti positivi. Per rendersene conto, basta guardare alla Sicilia di oggi: la Sicilia che il nostro giornale – di certo con tanti difetti e tanti errori, visto che anche possimo commettere errori – prova a raccontare ogni giorno.

Non possiamo e non dobbiamo nasconderci che, accanto a grandi esperienze antimafia e antiracket, è cresciuta anche una generazione di ‘Professionisti dell’Antimafia’ che ha utilizzato la propria posizione non per migliorare la nostra terra, ma per accumulare denaro e potere.

Lo vediamo ogni giorno con i ‘Professionisti dell’Antimafia’ che ormai infestano la Regione. Imponendo i propri adepti in posti di comando, al di là delle leggi. Ormai, nella pubblica amministrazione siciliana, l’illegittimità è una regola. Ai posti di vertice della stessa Regione e di enti regionali non si contano più i soggetti che non hanno i titoli per restare dove sono. Alcuni, addirittura – come ricordiamo spesso in questi giorni – scalano gli alti vertici dell’amministrazione facendo ‘punteggio’ con incarichi illegittimi che hanno ricoperto nel passato. Illegalità su illegalità.

Che dire, poi, del decreto legislativo n. 39 di quest’anno? Riguarda i dirigenti. Cioè la classe dirigente. Cioè chi dovrebbe dare l’esempio alle giovani generazioni. E che esempio stanno dando? Ve lo diciamo noi: l’esempio di un ‘certo’ avvocato “Azeccagargugli”, sempre pronto a interpretare la legge per gli amici e ad applicarla per tutti gli altri.

Mentre riflettiamo su Libero Grassi, sul suo coraggio, sul suo messaggio di legalità, prendiamo contemporaneamente atto che la Sicilia che oggi lo ricorda non celebra da decenni i concorsi per accedere alla pubblica amministrazione: una pubblica amministrazione che rimane appannaggio di camarille politiche, di raccomandazioni e segnalazioni che, aggirando la Costituzione del nostro Paese, arrivano alla babele del precariato ormai sulla strada dell’implosione.

E quando un Ministro della Repubblica – peraltro siciliano, trattandosi di Giampiero D’Alia – ricorda quello che tutti in Sicilia sembrano aver dimenticato: e cioè che nella pubblica amministrazione si accede per concorso, ebbene, tutti ad attaccarlo con la scusa che “non conosce la realtà siciliana”.

La conosciamo noi, la realtà siciliana: e conosciamo anche i cialtroni che, pur sapendo che nelle ‘casse’ dello Stato e della Regione non ci sono più soldi, continuano a illudere migliaia e migliaia di persone irretite da una politica criminale – il Ministro D’Alia ha detto benissimo – che esiste solo perché esiste il precariato.

Ricordiamo allora Libero Grassi. Ma ricordiamoci che la legalità vale per tutti.

 

Redazione

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