Grano, gli agricoltori siciliani in difesa dei prezzi «Troppo alti? Solo così si riesce a sopravvivere»

«Il grano oggi non è caro, ha il prezzo che dovrebbe avere sempre, per consentire ai produttori di sbarcare il lunario». Per quanto il contesto generale non sia da assalto ai forni, l’aumento del pane tiene banco, in Sicilia e non solo, da settimane. C’è chi sostiene che non riuscirà a vendere un chilo a meno di tre euro, motivando la necessità con l’aumento del prezzo delle farine, a loro volta legato all’innalzamento di quello della materia prima, il grano appunto. All’origine della filiera, però, c’è chi ritiene vada fatta chiarezza. «Se speculazione può esserci, non va cercata tra gli agricoltori», afferma a MeridioNews Angelo Moscarelli, la cui azienda di famiglia ha circa duecento ettari nella valle del Belice. 

Produttore di grano duro di qualità, con clienti anche importanti aziende specializzate in pasta, Moscarelli in queste settimane riesce a vendere a prezzi senz’altro più convenienti rispetto al passato ma questo non significa che per gli agricoltori sia stata tracciata la strada verso la ricchezza. «Il prezzo del pane sta salendo perché la produzione mondiale di grano è calata, specialmente in Canada, uno dei paesi che più esporta grano – spiega l’imprenditore – Il grano è una cosiddetta commodity agricola, ovvero uno di quei prodotti il cui prezzo dipende da logiche globali e che condiziona anche le realtà locali al momento della contrattazione con gli acquirenti». Il fatto che il grano isolano sia decisamente un prodotto di qualità maggiore, a partire dalla salubrità, incide poco. Le cronache, anche regionali, hanno più volte portato alla luce casi di carichi di grano finiti sotto la lente delle autorità sanitarie per la presunta presenza di tossine pericolose per la salute, ma le importazioni proseguono. «Tra i problemi più noti c’è l’uso del glifosato in una maniera quantomeno inopportuna – continua Moscarelli – Anche in Sicilia viene usato, ma per contrastare piante infestanti e soprattutto quando la pianta ancora non è cresciuta. Se invece lo si usa, come si fa in Canada, per accelerare l’essiccazione del grano si finisce per introdurlo nell’alimentazione».

Dal punto di vista igienico-sanitario, il grano siciliano, anche quello non appartenente alla categoria dei grani antichi, ha una qualità che non teme concorrenza. «Le temperature elevate delle nostre estati garantiscono un livello di umidità molto basso nel prodotto già dopo la trebbiatura. Questo non accade quando le coltivazioni sono a latitudini più fredde, in quei casi ci si ritrova con dei grani con elevate possibilità di sviluppare tossine e funghi, senza contare l’effetto negativo derivante dai lunghi viaggi». Detto ciò, per gli imprenditori agricoli siciliani bisogna fare i conti con i prezzi dettati dal mercato globale. «Si può ambire a vendere i prodotti a qualche centesimo in più a chilo rispetto al grano straniero, ma non di più perché sennò si viene tagliati fuori dalla concorrenza», ammette Moscarelli.

Attualmente il prezzo del grano al chilo si aggira tra i 40 e i 43 centesimi, in base alla possibilità di vendere direttamente o meno il prodotto ai mulini. Chi non riesce, per mancanza di adeguati depositi, deve rivolgersi ai grossi commercianti che fanno da tramite. «La nostra azienda può contare su 250 ettari, ma non abbiamo depositi quindi vendiamo ai commercianti e attualmente il prezzo si aggira sui 40 centesimi», dichiara a Meridionews Domenico Pirrera, imprenditore di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. Moscarelli, invece, è tra quelli che al momento riescono a vendere il prodotto anche un poco più di 40 centesimi. «Parliamo di prezzi che garantiscono a un’azienda di andare avanti in maniera dignitosa. Cosa che invece non può accadere quando il grano viene comprato a 25 centesimi al chilo o anche meno».

A sostegno della tesi, l’imprenditore sciorina numeri: «In Sicilia in un ettaro si riescono a produrre, quando va bene, 50 quintali di grano. Venduto a 40 centesimi al chilo si arriva a duemila euro per ettaro, a cui vanno tolte le spese che si aggirano tra i 1200 e 1400 euro. In pratica – sottolinea Moscarelli – se si possiedono venti ettari si riesce a sopravvivere. Altrimenti o si riescono a ottenere sussidi o l’attività diventa anti-economica». E questo è il motivo perché poi si finisce per cedere alle seduzioni di chi cerca i terreni per installare i pannelli fotovoltaici: «Propongono affitti annuali anche da quattromila a ettaro, normale che poi ci sia chi decidere di accettare». L’imprenditore poi fa una riflessione: «Ritengo che un chilo di pasta non andrebbe mai pagato meno di due euro. Non sarebbe un prezzo folle, considerato quanto costerebbe una singola porzione, ma soprattutto – conclude – mi pare che nessuno si lamenti quando un pacco di sigarette viene pagato cinque euro. Una sigaretta deve costare più di un piatto di pasta?»

Simone Olivelli

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