Grani antichi, il ritorno al passato diventa business «Ricerca della qualità, ma occhio alle speculazioni»

«La riscoperta della coltura, e della cultura, dei grani antichi in Sicilia è una risposta all’omologazione agricola che le multinazionali del settore hanno prodotto». Lo scorso 20 maggio, a Gela, la Flai Cgil ha organizzato un’iniziativa dal titolo #cimettiamoletende, per porre l’accento su problemi e prospettive dell’agricoltura in Sicilia. E si è parlato pure del ritorno dei grani antichi, fenomeno in realtà in auge da tempo

«Il mercato è ancora di nicchia – ha osservato Pino Pardo, segretario generale del sindacato per la provincia di Caltanissetta -. Servono aziende di trasformazione, se no non vale a niente essere buoni produttori». Se dal punto di vista nutrizionale i grani antichi hanno indubbie qualità, dal punto di vista economico i prezzi rimangono più alti rispetto alle altre coltivazioni. Proprio perché prodotti di élite, come sottolineato dall’agricoltore Emanuele Feltri a Meridionews e anche se con un boom di diffusione che alimenta pro e contro di quello che sta diventando un vero e proprio affare. Lo certifica ad esempio Emanuele Serpa, gestore della pizzeria Frumento di Acireale, in provincia di Catania. «Noi lavoriamo con un mix di grano duro e di grano tenero che ci dà un ottimo impasto ad alta digeribilità – spiega -. Da un anno abbiamo notato che il grano antico ha visto aumentare il suo prezzo del 30 per cento. Ma attenzione, comunque non parliamo certo di oro – sottolinea – i prezzi del grano classico sono di 90 centesimi al chilo, mentre per il grano antico si parla di 2 euro. In compenso facciamo il triplo dei clienti». 

Una scelta insomma che, agli operatori commerciali che decidono di tornare ai sapori di una volta, conviene. Tanto da alimentare i primi raggiri e le prime speculazioni. «C’è parecchia richiesta negli ultimi tempi – conferma Alessandro Tomaselli, della pizzeria Cutilisci a Catania -. Adesso il grano duro è diventata una moda, che comunque ben venga. So che molti comprano ad esempio la timilia (un particolare tipo di frumento duro, ndr) dalla Romania a prezzi più bassi e qualità scadente». 

Entrambi i ristoratori sottolineano, poi, come la riscoperta delle origini e di una coltura tradizionale che rispetta i tempi della natura sia particolarmente apprezzata. Le persone, almeno quelle a cui fanno riferimento Tomaselli e Serpa, mostrano più attenzione verso ciò che mangiano. E sono disposte a spendere qualcosa in più se ciò si traduce in maggiore qualità nutrizionale e attenzione verso l’ambiente. «Abbiamo una clientela che viene da Giarre, da Zafferana Etnea, e anche da Catania – spiega il titolare della pizzeria acese -. E vengono per percepire la bontà e la superiorità dell’impasto, per mangiare una pizza rustica che sa di Sicilia e di pane di una volta. Ormai anche il classico pane e nutella lo si fa col pane integrale». 

Gli fa eco Tomaselli, che nel capoluogo etneo gestisce una pizzeria che da più di dieci anni ha messo al centro e in ogni punto della filiera il cibo biologico. «Accompagniamo all’utilizzo del grano antico anche il lievito madre ottenendo prodotti sempre diversi e genuini – commenta -. A differenza di quelli che provengono dall’uso della farina bianca che sono tutti uguali ed insapori. Oggi – conclude – si guarda a un ciclo più lento, a chilometri zero, che rispetta la natura».

Andrea Turco

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