Governo Monti, 4 mesi senza crescita

Il governo Monti è in carica ormai da quattro mesi e dalla cultura economica dei suoi componenti, luminari delle scienze economiche, abbiamo visto unicamente provvedimenti che qualsiasi sprovveduto di nozioni di tali materie avrebbe del pari assunto: aumento dei tributi, taglio dei diritti del lavoro e restringimento dei consumi. Qualsiasi massaia a cui venissero a mancare le risorse avrebbe fatto tesoro di quel poco di cui dispone, avrebbe alleggerito la sporta della spesa ed avrebbe tagliato recisamente le spese non strettamente necessarie per sopravvivere all’emergenza. Da questo elementare parallelo si evince che non fosse proprio necessario scomodare la sapienza di questi scienziati per risolvere la crisi italiana. Né vale lo slogan ‘abbiamo evitato di finire come la Grecia’.

A fare quei tagli e a contenere l’adeguamento del potere d’acquisto delle pensioni sarebbe stato bravo chiunque, anche senza il possesso di altisonanti titoli accademici, ma il chiunque avrebbe altrettanto cercato risorse per investimenti anche tra le rendite finanziarie e tra i possessori di ingenti patrimoni. Il governo dei luminari si è guardato bene da cercare risorse in questi ambiti sociali. Dai luminari delle scienze economiche ci si sarebbe aspettato che, in concomitanza della ricerca di risorse disponibili alla ripresa e allo sviluppo, ci venissero prospettate ricette e progetti di crescita e di investimenti. Ma anche in questo versante non abbiamo avuto modo di potere apprezzare la sapienza e la scienza dei luminari al governo.

L’unica cosa, fin qui, cambiata rispetto al precedente governo è l’immagine. Ma le famiglie in pentola, di solito, non mettono immagini ma pasta, condimenti e contorni. Certo, rispetto al suo predecessore che vedeva nei ristoranti pieni, negli aerei stracolmi e nelle autostrade ingorgate gli indicatori che la crisi in Italia era inesistente e contestava a Giulio Tremonti la politica del rigore finanziario, quello attuale appare un governo consapevole delle difficoltà che incontra il Paese. Ma da qui a ricuperare pienamente la ricetta tremontiana è una bella prospettiva conservatrice che non ci consente di affrontare le prospettive di crescita.

La dimostrazione dell’incapacità del governo Monti di prospettare una qualsivoglia linea di sviluppo è legata alla persona preposta a questa politica: che visione di crescita può avere un ministro che per mestiere ha fatto il banchiere? Quale intuito e quale inventiva può avere un soggetto che, nell’esperienza del suo lavoro ha maturato essenzialmente la cura dei dividendi degli azionisti della sua banca e che, allo stormire di qualche foglia di crisi economica, ha chiesto alle imprese alle quali aveva concesso qualche credito di rientrare dalle esposizioni?

In considerazione delle tappe dell’azione del governo Monti fin qui attuate è nostro convincimento che le difficoltà nell’individuare politiche di ripresa resteranno tutte intatte. Forse qualche cosa di positivo in questa direzione potrà venire soltanto dall’intraprendenza dei nostri piccoli produttori che operano nei mercati d’eccellenza e di nicchia: si tratta di quelle imprese che, con le questioni legate ai vincoli dell’articolo 18 della legge 200 del 1970, non hanno nulla a che vedere. Sono imprese che incontrano difficoltà difficoltà di mercato legate alla pesantezza del fisco e alle ristrettezze del credito, cioè di due questioni che rappresentano i capisaldi delle politiche economiche di Monti e del suo governo.

Non sarebbe stato meglio convocare i comizi elettorali ed affidare al responso popolare il compito d’indicare le soluzioni di governo e delle politiche di risanamento e di sviluppo?

 

Riccardo Gueci

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